Roma - Al ventesimo titolo consecutivo sulla trattativa Stato-Mafia l'ex fattoide Luca Telese, uscito burrascosamente a giugno con relativo scambio di complimenti («Travaglio è un nichilista-gesuita, quello non lo sputo sennò lo profumo»), si prende una soddisfazione: «Dopo questa campagna ossessiva sono ancora più convinto che è stato importante andarmene. Travaglio ha in testa il format dei Soprano. Il papello non è la priorità, Ingroia non è un martire esula della Nazione, ma va in Guatemala perché ha chiesto lui il trasferimento». A breve (il 18 settembre) Telese uscirà col suo giornale, Pubblico, molto lontano dal travaglismo del Fatto in cui pure è stato tre anni, quando però ad unire tutti c'era il collante «Berlusconi vai a casa». «La copertina che farei oggi è la foto degli operai dell'Alcoa che si buttano tra le eliche dei traghetti per fermarli, o la sentenza della Corte europea che restituisce il diritto a procreare anche a chi non può. Queste sono cose di sinistra. Capisco che quelli come Marco, per accreditarsi come maître à penser di un popolo diverso da lui, devono inventarsi sempre una grande crociata».
Non è importante sapere se c'è stata una trattativa Stato mafia?
«Qui sta venendo giù l'Italia, l'euro forse collassa, si sfaldano i bastioni dell'industria italiana, ci sono 800mila persone in mobilità, il papello non mi pare la questione più importante. Il governo dei tecnici ha sbagliato terapia, si suicidano gli imprenditori e muoiono gli operai, due facce dello stesso fallimento. È ridicolo stare due mesi ad interrogarci se Napolitano ha fatto bene o male a sollevare il conflitto di attribuzione contro la Procura di Palermo, è una disputa da radical chic!».
Anche la verità sulle telefonate di Napolitano?
«Il punto è che vogliono far credere che Napolitano è il garante occulto della trattativa, che è l'insabbiatore, il complice di Totò Riina. Solo un ubriaco potrebbe pensarlo. È una panzana, e anche pericolosa. E secondo me al Fatto non credono a questa cosa, ci sono persone che vengono dall'Unità, colleghi di estrazione liberale».
Nemmeno il direttore Padellaro ci crede?
«Antonio ha molta gratitudine e affetto per Marco... è come il padre che non sa dire di no al figlio, anche se non è convinto, alla fine gli dice di sì».
Insomma sei stato tre anni con Travaglio e ora sulla linea del Fatto la pensi come Giuliano Ferrara.
«Ma quando il Fatto è nato era diverso, non fiancheggiava Grillo, non era collaterale a nessuno. Poi c'è stata una radicalizzazione di Travaglio, che ormai si sente un santone con licenza di dileggio. È la continua invettiva, senza confronto, un imbarbarimento che ci deve preoccupare. Anche i nomignoli che usa».
Bè però fanno ridere dai.
«Siamo allo Strapaese, la ridicolizzazione dei difetti fisici. Travaglio risponde che anche Benigni storpia i nomi. Ma Benigni fa il comico. Se la storpiatura la usa in un contesto polemico diventa un insulto. Se uno dice che Ferrara è ciccione diventa l'Alvaro Vitali del giornalismo, non il nuovo Montanelli».
Il direttore di Repubblica dice che è giornalismo di destra, da Il Borghese.
«È un giornalismo di cattivo gusto, troppo facile. È l'appendice giornalistico-letteraria del grillismo, sono la politica e il giornalismo del rutto».
Bersani direbbe «fascista».
«Io non sono tenero coi dirigenti del Pd, D'Alema appena mi incontra mi manda affanculo, ho molte riserve anche su Bersani, ma trovo grottesco il tentativo di impiccarlo come amico dei piduisti».
Il Pd non doveva invitare Grillo o qualche grillino alle feste dell'Unità?
«Se uno ti insulta tu hai diritto a non invitarlo. È ridicola questa tesi del Fatto, proprio loro che hanno organizzato una festa del giornale e non hanno invitato nessuno dell'Unità e soltanto un esponente del Pd. Però esigono di essere invitati alle feste degli altri».
E il Pd che invita il direttore del Giornale?
«Mi sembra un episodio di civiltà, se non hai visione integralista non pensi che possa contaminare il Pd, anzi dovrebbero invitare sempre chi critica, e fanno male a non chiamare la Fiom. Basta con l'estetica del livore. Chi viene dall'integralismo cattolico ha questa ossessione della purezza, ha bisogno di alimentarsi di livore».
C'è un po' di astio anche tra di voi.
«Io Travaglio lo considero un genio della comunicazione e un grande showman. Ma con questo can can sul papello non si accorge che la sua fanfara rischia di nascondere la truffa sulla legge elettorale, un superporcellum che se passa può far rivincere Berlusconi, il suo grande nemico...».
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