Parecchio marxismo, un po’ di anarchia, molto culto della violenza, slogan da Social Network e perfino un po’ di rock «alternativo». Nelle cinque pagine con cui il Nucleo Olga della Federazione Anarchica Informale rivendica l’attentato a Roberto Adinolfi, amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare, gambizzato a Genova, c’è un aspetto che segna subito una notevole distanza dai documenti analoghi del passato, firmati magari Brigate Rosse. È l’enorme autocompiacimento estetizzante: sembra quasi che i terroristi abbiano sparato per amore del «bel gesto» e per sentirsi a posto con la propria coscienza di rivoluzionari. Si legge: «Con una certa gradevolezza abbiamo armato le nostre mani, con piacere abbiamo riempito il caricatore» ottenendo poi, dopo aver tirato il grilletto, «un confluire di sensazioni piacevoli». È questo «il marchio della vita», come dice il titolo, la «via immaginifica alla distruzione dell’esistente».
A poco vale l’incipit che, citando Carlo Pisacane («le idee nascono dai fatti»), evoca la possibilità che alla testimonianza sanguinosa segua una rivoluzione in cui nessuno crede, nemmeno l’estensore del volantino. In queste pagine predomina un senso desolante di autoreferenzialità. Sparare ad Adinolfi è stato un modo per dimostrarsi superiori agli anarchici «ideologici e cinici»; agli anarchici in doppiopetto, che si accontentano di «assemblee e manifestazioni»; agli anarchici «invigliacchiti da un cittadinismo che puzza di morte»; ai «cittadini indignati per qualche malfunzionamento di un sistema di cui vogliono continuare a essere parte». Alla fine, ironizza l’estensore, vinceranno comunque i traditori della rivoluzione, che scriveranno «un bel libro» sui sognatori che hanno «azzoppato» un innocente.
Dall’anarchia al marxismo. Con un bel po’ di confusione tra l’uno e l’altra. Marxista è l’analisi del rapporto fra macchina e uomo, fra capitale e consumatore: «La macchina ordina, l’uomo esegue. Il capitale ordina, il consumatore consuma». Marxista è la necessità di «far lavorare di pari passo le armi della critica e la critica delle armi». Marxista è il modo di evocare «il capitale», in senso assoluto, e mai il capitalista, in senso concreto (un anarchico vero farebbe il contrario). Questa critica alle macchine e alla tecnica sfocia nell’odio per il progresso, simboleggiato in negativo dalle «tombe nucleari», dai «caccia bombardieri», dalle «barriere elettroniche» opposte ai migranti, dalle «bio e nanotecnologie». E qui veniamo alla parte programmatica che si risolve in questo: «Il nostro sogno è quello di una umanità libera da ogni forma di schiavitù, che cresca in armonia con la natura».
Commenta Alessandro Orsini, docente di Sociologia politica all’università di Roma Tor Vergata e autore del saggio Anatomia delle Brigate rosse: «I tempi dei comunicati delle BR sono lontani. Qui la prosa è molto diversa, dimostra abitudine alla scrittura: paratassi, frasi brevi e incisive. Il linguaggio è chiaro. I documenti delle BR erano sintatticamente involuti e talvolta difficili da comprendere». Erano insomma documenti ideologici, con pagine e pagine fitte di crisi di regime, controrivoluzione, sovrastrutture, neogollismo, ultrarevisionismo, rifunzionalizzazione dello Stato. «Rispetto a quei tempi, colpisce in questa rivendicazione - prosegue Orsini - l’assenza di richiami diretti alla politica. I documenti delle BR ne erano pieni. Fatto che potrebbe essere interpretato come indizio della giovane età degli estensori, che risentono del clima in cui vivono. Le Brigate Rosse scrivevano in modo decisamente farraginoso ma le rivendicazioni erano molto più ricche e complesse sotto il profilo teorico perché non si limitavano a denunciare le ingiustizie del mondo ma fornivano anche alcune chiavi per interpretare il mutamento sociale».
Oggi la rivoluzione globale corre sui Social Network, e quindi parla in modo semplice, riduce le formule a slogan, si rifugia nel generico invocando «percorsi di libertà individuale e sociale».
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