La solitudine di un leader perseguitato e ferito

Quando un uomo cade in disgrazia per vari motivi, i suoi amici sono meno amici, cambiano espres­sione, qualcuno diventa antipa­tico, altri fastidiosi

La solitudine di un leader perseguitato e ferito

Non c’è bisogno di es­sere satiri per patire la solitudine. Basta avere intorno a sé i ruderi di un partito che è stato importante; basta una condan­na da scontare e temere di rice­verne altre. Non frequento le di­more di Silvio Berlusconi e igno­ro ciò che vi accade in questi giorni funesti. Posso solo imma­ginarlo e rabbrividire. Quando un uomo cade in disgrazia per vari motivi, i suoi amici sono meno amici, cambiano espres­sione, qualcuno diventa antipa­tico, altri fastidiosi. Quelli poi che si offrono volontari per dar­gli una mano senza sapere co­me, sarebbero da prendere a pe­date. Suppongo che il Cavalie­re abbia una gran voglia di scalciare, ma che si trattenga per mancanza di energia.

Da oltre due mesi egli vive una situa­zione surreale, il suo umore oscilla tra il nero e il rosa. Ora il rosa ha lascia­to il posto al grigio fumo di Londra. Mi dicono che Villa San Martino e Palaz­zo Grazioli sembrano succursali del Cimitero Monumentale in cui sfilano numerosi dolenti dalla mattina a not­te inoltrata. Vanno a testimoniare la loro partecipazione al dolore del ca­po e già che sono lì esprimono un desi­derio, formulano una richiesta. E nel­la speranza di avere soddisfazione, cioè una remunerazione, dispensa­no «preziosi» consigli dei quali Silvio si fa un baffo, pur fingendo di apprez­zarli.
Nella vita conta di più la fortuna del­la bravura. Nella presente congiuntu­ra lui, il dottore presidente, ha il so­spetto di non potersi avvalere né del­l’una né dell’altra. In compenso, è contornato da una massa di rompi­scatole che lo frastornano. La matti­na legge i giornali e si deprime. Dieci minuti dopo reagisce e studia strate­gie e tattiche per resistere. Quindi si guarda in giro e scopre di essere asse­diato. Le manovre per costringerlo al­la resa cominciarono un paio di de­cenni orsono, e non vale neanche la pena di ricordarle. I fatti nudi e crudi si riassumono in poche e scarne paro­le. Dato che i suoi avversari lo hanno snobbato a lungo, quando hanno in­tuito che era troppo tardi per batterlo alle urne- e definitivamente liquidar­lo- si sono affidati ai cattivi uffici della Giustizia.
Qualsiasi imprenditore di succes­so, se non degli scheletri, ha qualche ossicino nell’armadio.Per recuperar­lo­occorre rovistare nelle carte e alme­no una tibia salta fuori. Ci sono indu­striali celebrati, riveriti e idolatrati che hanno esportato in Svizzera mi­liardate fottendo il fisco e gli azioni­sti. Sono stati denunciati perfino dai familiari, ma non è accaduto niente. Ovvio, ci sono imprenditori e impren­ditori. Alcuni di essi, intoccabili in vi­ta e in morte, sono stati trascurati. Per­ché? Non domandatelo a me. Altri in­vece, per esempio Berlusconi, vengo­no trasformati in simboli del male. È sempre colpa loro, di tutto. Se non so­no di sinistra, il loro destino è segna­to, come dimostrano certe sentenze in cui c’è di tutto tranne le prove. Ma chissenefrega delle prove: le logiche processuali costruiscono castelli ac­cusatori perfetti, inoppugnabili per­ché nessuno li può impugnare.
Gli avvocati fanno quello che posso­no: a volte nulla. Hanno la toga, ma quella dei giudici pesa di più. Si blate­ra da lustri di malagiustizia. I casi cla­morosi sono migliaia, tant’è che l’Eu­ropa ci tira le orecchie ogni cinque mi­nuti. Le ingiustizie dilagano e colpi­scono un sacco di povera gente co­stretta a subire in silenzio perché pri­va di voce. Cosicché è molto facile di­re che non si può riformare il sistema della magistratura solo per fare un fa­vore al Cavaliere. Le migliaia di vitti­me dei tribunali finiscono nel dimen­ticatoio.Non sono prese in considera­zione altrimenti ci sareb­be da dare ra­gione a Berlusconi quando dice di es­sere un perseguitato. Per non incorre­re nel pericolo di agevolare lui, si pre­ferisce calpestare i diritti della massa.
Questa politica ha consentito di sbarazzarsi del leader del centrode­stra e ciò rende felice mezza Italia, a spanne. L’altra metà è in bambola e ogni tanto è assalita dal dubbio: forse è meglio che Silvio si faccia da parte, almeno si cesserà di discutere sem­pre e soltanto di lui. Uffa che barba, non se ne può più di questo estenuan­te tiremolla. Facciamola finita. La stanchezza serpeggia in ogni ambien­te, anche in quello del Pdl in cui si è smarrita la sinderesi: si dicono, si fan­no e si pensano cose assurde. Pugna­late, tradimenti, salti della quaglia: non deve stupire che nella confusio­ne generale ciascuno riesca a dare il peggio di sé.
Non serve esagerare nelle critiche ma comprendere: gli uomini e le don­ne, onorevoli o disonorevoli che sia­no, sono fragili, talvolta inconsisten­ti. La paura rende anche vigliacchi.

La paura più diffusa nei territori della politica è quella di lasciarsi sfuggire il potere o, più volgarmente, la poltro­na. Alcuni si illudono, come adole­scenti, che uccidendo il padre si libe­reranno da una dipendenza rassicu­rante e un po’ soffocante. Ma chi non è cresciuto in vent’anni,morirà picco­lo.

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