Massimo D'Alema ha mandato ieri una lunga lettera al Corriere della Sera per ricostruire puntigliosamente quel che secondo lui accadde nel 1998, quando Prodi cadde e lui, D'Alema, fu incaricato presidente del Consiglio da Oscar Luigi Scalfaro. Anticipo subito quel che su tutta la complicata vicenda so io, che allora ero al fianco di Francesco Cossiga nell'errata convinzione che il mio amico presidente volesse davvero dar vita a un partito, l'Udr, «distinto e distante» da ogni residuo illiberale. Invece, come lui mi confessò candidamente e vantandosene stava compiendo una missione internazionale per conto del presidente Bill Clinton il quale aveva deciso di attaccare militarmente la Serbia sotto l'egida della Nato e aveva bisogno delle basi aeree italiane. Ma l'amministrazione americana pretendeva che a Palazzo Chigi sedesse un leader dell'ex Partito comunista capace di garantire l'agibilità militare in Italia. Gli Usa volevano D'Alema. Cossiga disse: ci penso io. Pochi giorni prima del ribaltone D'Alema (che secondo me ancora non sapeva nulla di quel che bolliva in pentola) nel suo ufficio mi parlava di Cossiga in termini sprezzanti: «Un ex capo dello Stato che abbia un po' di dignità dovrebbe chiudersi in casa e scrivere le sue memorie». Pochi giorni dopo (penso che a quel punto D'Alema fosse stato informato dell'intera operazione) Cossiga era diventato il suo interlocutore politico prediletto e amato. Così D'Alema venne meno al suo giuramento: mai al governo senza aver prima vinto le elezioni.
Che cosa ci ricorda? Bravi. Lui: il sindaco di Firenze che prima aveva detto «mai al governo senza passare prima per le elezioni» e che adesso sta facendo il riscaldamento per correre a Palazzo Chigi senza essere stato unto dal popolo sovrano. E poiché il paragone è spontaneo, viene da chiedersi se la meticolosa ricostruzione di D'Alema non costituisca un monito, un messaggio cifrato, o in chiaro, per Matteo Renzi. Come se dicesse: giovane Renzi, dai retta a zio Massimo che si trovò in una situazione simile alla tua e che fece feci un errore imperdonabile, sicché poi la cosa non finì bene. Non tutto combacia, ma molto ricorda, evoca, si espone a una simmetria di ricordi.
E allora, di nuovo: perché oggi D'Alema sente l'urgenza di ricostruire quella crisi ormai lontana? Dice lui stesso: perché oggi girano su quegli eventi tante interpretazioni false e anche calunniose. Strano, osserviamo noi, che ci pensi soltanto oggi. D'Alema, salvo una nostra colpevole distrazione, non ha mai scritto il suo diario di allora, ciò che conferisce alla sua lettera al Corriere un significato di pregio storico. Ciò detto, resta da attribuirle con certezza il significato politico attuale: D'Alema sconsiglia Renzi? È l'ipotesi più facile. D'Alema si toglie alcuni sassi dalle scarpe? Anche questo avrebbe senso, ma soltanto di contorno. O forse D'Alema legittimamente vorrebbe giocare con Renzi il ruolo di padre nobile e di king maker che sedici anni fa Cossiga giocò con lui, facendolo diventare il «dear», il cocco della Casa Bianca anche nei tempi successivi di George W. Bush e di Condoleeza Rice.
È tuttavia improbabile che Renzi abbia bisogno di D'Alema per avere il suo posto a tavola fra Barak e Michelle. Però D'Alema potrebbe diventare il mentore e - perché no? il ministro degli Esteri di Renzi, il Talleyrand che per quanto rottamato è pronto a servire l'istituzione quale che sia la dinastia al potere. Il sospetto è autorizzato proprio dalla conclusione della lettera, che dichiara di volerlo scongiurare: «C'è una nuova generazione al comando dice D'Alema - si prenda le sue responsabilità lasciando perdere i rancori e le menzogne del passato. Non chiedo altro. Spero che almeno questo lo si possa ottenere». Parole certamente sincere, accorate e limpide. Ma poiché il nostro mestiere è quello di pensar male, osserviamo che le stesse parole potrebbero voler dire: «Caro Renzi, sei un ragazzino abile ma avventuroso e stai percorrendo un sentiero che mi è familiare e sul quale mi sono fatto male. Ti faccio una proposta: io posso aiutarti con la mia esperienza senza nulla chiedere.
Oddio, se poi Letta non volesse finire alla Farnesina, ricordati che io da anni mi occupo soltanto di politica internazionale e, modestamente, so ancora fare la mia porca figura». Chissà. A pensare male, come diceva il defunto Andreotti, spesso si azzecca.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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