Stragi e intercettazioni, l'ira del Colle: «Nulla da nascondere, tutelo la Carta»

RomaDi Pietro non molla la presa: «Signor presidente, si rende conto che in questo modo lei sta tradendo la Costituzione?». E anche i fratelli di Paolo Borsellino continuano a polemizzare. Ma Giorgio Napolitano non si scompone. «I familiari di Borsellino sono soprattutto la moglie e i figli e da loro ho avuto solo parole di conforto». Quanto allo scontro con i giudici di Palermo, «non ho nulla da nascondere, ho soltanto un principio da difendere, la riservatezza e il libero esercizio delle funzioni del capo dello Stato». E se «qualcuno non capisce» e qualcun altro fa «speculazioni miserrime», pazienza.
Nel Salone degli Specchi, il presidente riceve la stampa parlamentare per la cerimonia del Ventaglio. Sembra abbastanza tonico, sicuramente non è sulla difensiva, nonostante gli attacchi per la vicenda delle intercettazioni. «Può darsi - dice - che la mia scelta di non risulti comoda per l'applauso, ma non ho mai ceduto alla tentazione dei discorsi facili e opportunistici. Nemmeno richiamare l'aggravarsi dei problemi del Paese è una cosa semplice, eppure se serve va fatto». Insomma, spiega, sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, «è stata una decisione dettata dal dovere di promuovere un chiaro pronunciamento nella sola sede idonea se questioni delicate di equilibri e prerogative». Una mossa per stroncare «la campagna di insinuazioni», per interrompere il circolo vizioso di «sospetti senza fondamento e polemiche senza sbocco».
Lo chiamano re Giorgio ma lui sostiene di «non capire che cosa sarebbe il “semipresidenzialismo di fatto”» di cui lo accusano. «Non sono fuoriuscito neppure di un millimetro dal ruolo e dai poteri disegnati nella Carta», semmai ha fatto da paciere, da ammortizzatore, da catalizzatore dell'unità nazionale. «Quei poteri li ho esercitati con la determinazione e la capacità di iniziativa dettatemi da ricorrenti tensioni politico-istituzionali e suggeritemi dall'esigenza di offrire punti di riferimento positivi e non di parte a un'opinione pubblica spesso scossa e inquieta».
E la stessa linea di condotta, dice ancora Napolitano, «l'ho seguita da presidente del Csm sui temi del rapporto tra politica e giustizia». Però difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non vuol dire «indulgere in posizioni bonarie o acritiche». Piuttosto, significa «porre nel modo più obbiettivo problemi di rigore sul piano dell'efficienza professionale e dei comportamenti». Sono temi di cui «ho parlato più volte», come quando ha attaccato «i giudici protagonisti», cioè quelli che fanno politica.
Poi torna sull'argomento di questi giorni, le indagini di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. Secondo il presidente, per arrivare a un risultato bisogna evitare di fare confusione. Una cosa sono le intercettazioni dei colloqui tra Napolitano e Mancino, proibite dalla Costituzione e motivo del conflitto di attribuzione. Ben altro è la lotta alla mafia e «la ricerca di verità e giustizia senza nulla occultare». Su questo «conta quanto ho detto il 23 maggio a Palermo» durante la commemorazione di Giovanni Falcone «e non occorre che mi ripeta». Se qualcuno mischia i due piani, fa «miserevoli speculazioni». Sette anni al Quirinale, ma è presto per un bilancio. «Fino alla scadenza del mandato, che avrà comunque termine entro il maggio 2013, io ho da concentrarmi, e mi concentrerò, sullo svolgimento dei miei compiti». Tra i quali c'è il «dovere» di effettuare un continuo elettrochoc ai partiti malati. «Il primo nodo irrisolto da superare rapidamente è quello di una nuova legge elettorale che scongiuri il ripetersi di guasti largamente riconosciuti». Ci vince deve poter governare.

Ci aspetta infatti «un anno molto difficile» e servirà «un eccezionale sforzo di coesione nazionale per reggere alle prove della crisi più grave degli ultimi 50 anni». Ci attendono mesi di lacrime e sangue e «parlare un linguaggio di verità fa parte dei doveri di un presidente».

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