Milano - «L'Europa è ancora il nostro futuro?». La domanda che dà il titolo all'incontro di questo pomeriggio nell'Arcivescovado di Milano sembra quasi retorica, di fronte a quel che dicono i giovani dell'Unione europea. Sfiducia nelle istituzioni, diffidenza nei confronti dell'euro, scarsa vicinanza con la gran parte dei Paesi, sia i fondatori che - soprattutto - i nuovi arrivati dall'Est europeo. I dati del Rapporto giovani dell'Istituto Toniolo, presieduto dal cardinale Angelo Scola, raccontano una gioventù desolata di fronte allo spettacolo offerto dalla politica tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte.
Eppure questa delusione non è euroscetticismo, perché la maggioranza dei ragazzi vorrebbe Stati Uniti d'Europa nati da una vera «unione politica» dei Paesi membri. Tutt'altra storia è se credano realmente che a questa unione politica si possa arrivare. Di fronte a questa domanda, la risposta prevalente è il no. Segnale che la disillusione ha superato il livello di guardia e si sta trasformando in sfiducia totale nel futuro dell'Ue.
Qualche numero. Il 58 per cento degli intervistati dichiara che l'Unione europea è un esperimento sostanzialmente fallito. L'euro piace solo al 32 per cento: tutti gli altri ritengono che non abbia migliorato la qualità della vita. Quanto alla Germania, è il 35% la percentuale di giovani che percepisce una vicinanza con il Paese che di fatto determina le scelte dell'Ue. «Verso la Germania registriamo un'ambivalenza dei giudizi. È antipatica perché rappresenta la linea del rigore e l'Europa che non piace. Contemporaneamente però è un Paese che cresce e attrae molti giovani, laureati ma non solo» commenta Alessandro Rosina, professore di Demografia e statistica alla Cattolica, tra i curatori della ricerca.
Quest'Europa sembra pure classista e trova qualche consenso solo tra le persone più istruite e agiate. La sfiducia serpeggia anche tra i laureati (il 49% la ritiene un fallimento), ma tocca l'apice nelle categorie più deboli, come i ragazzi che hanno la terza media (quasi il 70%) e i Neet, coloro che né studiano né lavorano, perché hanno perso la speranza che sgobbare sui libri o cercare un posto possa essere una strada per costruirsi un domani. «La libertà di circolazione delle persone è ciò che convince di più, ma riguarda soprattutto chi ha la possibilità di giocarsela, cioè i laureati che decidono di andare all'estero - osserva il professor Rosina -. Per loro il mercato del lavoro è diventato più ampio e se in Italia le cose non funzionano, questi giovani possono andare altrove. Chi invece vuole rimanere nel suo Paese o è vincolato, è più critico».
E poi i popoli amici. Il Paese percepito come più vicino è la Spagna (55%), seguita un po' a distanza dalla Francia (43%).
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