Thyssen, non fu omicidio volontario

Thyssen, non fu omicidio volontario

TorinoNovanta giorni. Solo allora, quando verranno depositate le motivazioni, si saprà il perché. Il perché di una sentenza d'appello, quella relativa al processo Thyssen, che ha di fatto ribaltato il primo grado, condannando i vertici della multinazionale tedesca a pene più miti.
In poco più di dieci udienze i giudici della Corte d'appello hanno riscritto quella che sembrava essere destinata a diventare una sentenza storica. Si è sciolta come neve al sole l'accusa di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale. Per i giudici della Corte d'assise d'appello la morte dei sette operai è da considerarsi, così come tante altre morti sul lavoro, un omicidio colposo, anche se, nello specifico, con l'aggravante della colpa cosciente. Ed è così che si è giunti alle riduzioni di pena. A cominciare da quella nei confronti dell'amministratore delegato della Thyssen, Harald Espenhahn, che è stato condannato a dieci anni di carcere, contro i 16 anni e mezzo previsti nel primo grado. Pene più miti anche per gli altri cinque imputati: sette anni a Gerald Piregnitz e Marco Pucci, otto anni e 6 mesi per Raffaele Salerno, otto anni a Cosimo Cafueri e nove anni di carcere per Daniele Moroni.
Infine il giudice ha disposto il dissequestro della linea 5, restituendo così all'azienda quel pezzo di fabbrica teatro della tragedia. Alla fine della lettura della sentenza, maschere di sale, sorrisi e lacrime di rabbia hanno avvolto la maxi aula uno del tribunale di Torino. Il procuratore Raffaele Guariniello che ha difeso a tutti costi la tesi del dolo non vuol sentire parlare di sconfitta: «È comunque una sentenza storica. È la prima volta che viene riconosciuta una condanna così alta per una morte sul lavoro. E io non mi sento affatto vinto. C'è ancora la Cassazione». E alla Cassazione si affideranno anche gli avvocati della Thyssen che puntano alla suprema corte per veder cadere anche l'aggravante della colpa cosciente.
Ma chi, più di tutti, è uscito devastato dalla sentenza sono i familiari delle vittime del fuoco. Sono loro che esplodono lanciando accuse, anatemi contro i giudici, gli avvocati, i sindacati, le istituzioni, rei di averli abbandonati mano a mano che le casse si riempivano dei soldi dei risarcimenti. Tutti colpevoli. Tutti a loro modo assassini, per le sorelle e le madri dei sette operai. «Voglio che tutte le notti si sognino mio figlio mentre brucia – dice la mamma di Giuseppe De Masi -. Questo è quello che si meritano. I dirigenti Thyssen sono degli assassini e i giudici sono loro complici». La sentenza di oggi, questo il loro timore, rappresenta l'anticamera di un'assoluzione.
La tensione è salita fino all'occupazione dell'aula. Tanto che il procuratore Guariniello e il procuratore generale, Marcello Maddalena, sono stati costretti a intervenire per riportare a più miti consigli le famiglie. «Siamo dalla vostra parte. La battaglia non è finita. Non sottovalutate questa sentenza», ha detto loro Guariniello. Solo alle tre del pomeriggio hanno deciso di abbandonare l'aula, dopo aver avuto rassicurazione di essere ricevute dal prefetto. Anche lì per protestare e chiedere giustizia.

Amarezza invece è quanto ha provato Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto alla tragedia della Thyssen e rieletto alla Camera per la seconda volta, nelle liste del Pd. «Hanno ragione coloro che sottolineano che questa resta una sentenza importante. Ma, francamente, non riesco a capire come mai è caduta l'ipotesi del dolo. Sono avvilito e capisco le famiglie».

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