RomaLe agende rosse sventolate in via D'Amelio. Le parole rabbiose sibilate da Salvatore Borsellino: «Siamo in piazza per tutelare i giudici vivi, il conflitto di attribuzione è un'iniziativa improvvida». L'ennesima sparata di Di Pietro: «Il Quirinale predica bene e razzola male». Ma gli attacchi finiscono qui. Il procuratore antimafia Pietro Grasso parla «di tempesta in un bicchiere d'acqua, nessuno scontro tra istituzioni e nessuna pressione dal Colle». Il procuratore capo Francesco Messineo si preoccupa di abbassare i toni: «Non ci sono e non potrebbero esserci contrasti con la presidenza della Repubblica». E persino il pm Antonio Ingroia fa quasi il moderato: «Non ci sono polemiche con il presidente, solo una questione giuridicamente controversa. La Consulta troverà una soluzione condivisa». Adesso che ha rimesso sotto tiro Berlusconi, adesso che ha trovato un altro bersaglio grosso, la procura di Palermo allenta la morsa sul Colle, sperando di non farsi troppo male quando arriverà il verdetto della Corte costituzionale.
Giorgio Napolitano è leggermente sollevato, però è ancora molto infuriato. State tranquilli, scrive ai magistrati e ai familiari di Borsellino nel messaggio per i vent'anni della strage di via D'Amelio, perché chi ha «inquinato» sarà scoperto, chi ha depistato sarà punito. «Non c'è nessuna ragione di Stato che può giustificare ritardi e incertezze nella ricerca della verità, specie su torbide ipotesi di trattativa tra Stato e mafia». Chi ha tramato sarà arrestato, «questo è il nostro dovere comune». Ma per riuscirsi, smettetela di intorpidire le acque con «sovrapposizioni nelle indagini, difetti di collaborazioni tra le autorità preposte, pubblicità improprie e generatrici di confusione».
Insomma, diffondere illegalmente le telefonate intercettate del capo dello Stato, giudicare «irrilevanti» dai giudici di Palermo, non è la strada per arrivare alla verità ma solo per alzare polveroni. Per scoprire se qualcuno nelle istituzioni ha fatto il gioco sporco, occorre accertarlo senza scorciatoie, rispettando le regole. E su tutte queste cose, sostiene Napolitano, «deve vegliare tra gli altri il presidente della Repubblica, cui spetta presiedere il Consiglio superiore della magistratura, e deve farlo, come in questi anni ha sempre fatto, con linearità, imparzialità, severità». È per questo dunque, per «non aggiungere errori ad errori, che ha deciso di sollevare il conflitto di attribuzione di poteri.
Parola alla Consulta. Nel frattempo i pm devono continuare a indagare, nessuno sul Colle pensa a delegittimarli. «Si deve lavorare senza sosta e senza remore per la rivelazione e la sanzione di sbagli e infamie che hanno inquinato la ricostruzione della strage di via D'Amelio. Si deve giungere - scrive ancora Napolitano - alla definizione dell'autentica verità su quell'orribile crimine che costò la vita a un grande magistrato protagonista con Giovanni Falcone di svolte decisive per la lotta contro la mafia». In passato troppi depistaggi, troppe manovre oscure. «Quale terribile dolore è stata per lei e per i suoi figli, signora Agnese, questa contraffazione della verità. E quale umiliazione per noi tutti che rappresentiamo lo Stato democratico».
Perciò, basta con le polemiche.
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