Tutti la invocano, ma la riforma resta al palo

Severino prova a sfidare i veti, ma sla sinistra grida già al bavaglio

L'ultimo, in ordine di tempo, è stato il vicepresidente del Csm Michele Vietti, che sull'onda emotiva della morte del consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio, in un'intervista al Messaggero, ha auspicato che si metta mano «adesso», alla riforma delle intercettazioni: «È del tutto incoerente – ha tuonato – lamentarsi dei guasti del sistema e poi non portare mai a termine una ragionata e condivisa opera di riforma». Però il nodo sulla disciplina non tanto dell'ascolto, ma soprattutto della pubblicazione di telefonate e colloqui spiati, è proprio questo: arrivare a una soluzione condivisa che metta d'accordo tutti i partiti. E così, gira che ti rigira, la tanto sospirata riforma caldeggiata persino dal capo dello Stato prima del conflitto di attribuzione con la procura di Palermo, resta al palo. E guai a tirar fuori proposte concrete che subito si grida al «dagli alla legge bavaglio». E dunque le proposte, che pure ci sono, stanno in stand by: dal ddl Alfano congelato alla Camera ormai dallo scorso ottobre al ddl Finocchiaro-Casson, presentato nel 2008 al Senato; dal vecchio ddl Mastella, varato durante il governo Prodi nel 2007 quasi all'unanimità, con i voti della stessa sinistra che adesso urla al rischio bavaglio alla serie di altre proposte sparse. Già, perché globalmente in Parlamento, nel 2011, erano 11 i testi in tema di intercettazioni depositati tra Camera e Senato.
Neanche il ministro di Giustizia Paola Severino, che in quanto tecnico dovrebbe avere qualche chance in più di convincere i partiti che una riforma va fatta, è riuscita a raccogliere consensi. Ogni volta che viene fuori una sua bozza di riforma, sulla quale dalla primavera scorsa è in corso un tentativo di mediazione, è il putiferio. È accaduto ad aprile, quando da via Arenula è venuta fuori una prima ipotesi che sostanzialmente ripartiva dal ddl Alfano-Bongiorno eliminando però i Tribunali collegiali per le autorizzazioni dell'ascolto che avevano provocato la rivolta dei magistrati. E sta accadendo nelle ultime settimane, con Repubblica e Il Fatto Quotidiano che già bollano le indiscrezioni circolate come ritorno della legge bavaglio. Il motivo? Il principale è proprio legato all'attualità, e cioè al tema della tutela dei «terzi» intercettati pur non essendo sotto indagine: dunque il caso di D'Ambrosio, ascoltato al telefono con l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino; e il caso dello stesso capo dello Stato Napolitano, spiato suo malgrado perché Mancino era sottoposto a intercettazione. La nuova bozza del ministro (non definitiva), sostanzialmente, inasprirebbe le sanzioni per chi pubblica telefonate che coinvolgono personaggi estranei al processo e destinate alla distruzione. La pena da sei mesi a tre anni, prevista dal vecchio testo, si estenderebbe infatti anche a chi pubblica ascolti di terzi non coinvolti. Multe salate anche al giornalista che pubblica conversazioni coperte da segreto prima del processo.
L'altra novità che fa storcere il muso alla sinistra è legata a un altro tema oggetto di polemiche e di lunga mediazione durante il dibattito sul vecchio testo: la pubblicazione per riassunto degli atti non più coperti da segreto prima dell'udienza preliminare.

Dalla formulazione dell'articolo 114 del codice di procedura penale scompare la possibilità di pubblicare in forma riassuntiva. La trattativa procede. Ma i veti incrociati, sinora, sono gli unici a raccogliere consensi bipartisan.

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