Da Vannacci a “clandestino”, è la dittatura del pensiero unico

In questa puntata ci concentriamo su un caso che ha fatto tanto discutere: il generale Vannacci. Con il commento di Daniele Capezzone

Da Vannacci a “clandestino”, è la dittatura del pensiero unico
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Cosa accade tra le stanze damascate dei palazzi della politica? Cosa si sussurrano i deputati tra un caffè e l'altro? A Roma non ci sono segreti, soprattutto a La Buvette. Un podcast settimanale per raccontare tutti i retroscena della politica. Gli accordi, i tradimenti e le giravolte dei leader fino ai più piccoli dei parlamentari pronti a tutto pur di non perdere il privilegio, la poltrona. Il potere. Ognuno gioca la propria partita, ma non tutti riescono a vincerla. A salvarsi saranno davvero in pochi, soprattutto dopo il taglio delle poltrone. Il gioco preferito? Fare fuori "l'altro". Il parlamento è il nuovo Squid Game.

Vietato parlare, vietato pensare. Contare prima di aprire bocca. Fino a 10? Di più! Anzi, è consigliato arrivare fino a 100 se non si vuole finire nel tritacarne mediatico o, peggio ancora, in quello giudiziario. O, banalmente, giudicato dagli amici. Anche da quelli più fidati. Oggi, anno Domini 2023, parlare, esprimere un pensiero, un concetto è un’impresa ardua. Difficile. È necessario fare uno slalom tra le parole.

Ce lo raccontano i casi di cronaca di questi giorni: dal generale Roberto Vannacci (silurato dall’esercito per il suo libro choc) che rivendica il diritto di pensare fino alla Corte di Cassazione che, ha condannato la Lega, (sì, il partito del Vicepremier Matteo Salvini) per aver usato la parola “clandestino” su alcuni manifesti elettorali. Non si può più dire, per i giudici lede la dignità delle persone. E così i togati ci impongono le parole, il linguaggio da usare: “richiedenti asilo” è questo il termine da utilizzare da oggi in poi per indicare i migranti che, illegalmente, raggiungono le nostre coste. Alla faccia dell’italiano.

Abbiamo chiesto un opinione a Daniele Capezzone, ormai di famiglia qui a La Buvette. “Difendere sempre la libertà di parola, senza alcuna eccezione ma, politicamente e culturalmente, evitare di offrire bersagli facili ai censori di sinistra. Eviterei, però, di fare di Vannacci il filosofo di riferimento del centrodestra”.

*ASCOLTA IL PODCAST CON L’OPINIONE DI DANIELE CAPEZZONE*

Ma c’è di più! Esiste addirittura un glossario delle parole da usare senza offendere nessuno. Occhio persino a dire “grasso”, “magro”, “brutto”, “basso”. Anche “sciupato”. Per carità! È subito “body shaming”. La nonna del sud deve tacere, soprattutto, in presenza di ospiti. C’è pure chi sostituisce le lettere con l’asterisco per definire una persona.

Già, perché nel 2023 non bisogna fare distinzione tra uomo e donna, è necessario rispettare il genere dicono. Ed è subito la dittatura delle parole, i fasci della penna e calamaio, i balilla della rivoluzione letteraria. I combattenti della “ə” (schwa ndr). Ma non è mica finita qui, perché in questa calda estate è spuntato un altro dilemma: fare o non fare le treccine afro? Sotto l’ombrellone centinaia di donne si sono poste il dubbio amletico. Già, perché anche in Italia è arrivata la cosiddetta “appropriazione culturale”.

Guai a prendersi ciò che non è tuo. Così, in tante, per evitare di essere giudicate male hanno evitato di farsi intrecciare i capelli come le donne d’Africa. “Essere o non essere” si chiedeva William Shakespeare, noi, così, abbiamo deciso di non essere.

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