Viviamo più a lungo ma con meno speranze L'Italia 50 anni dopo

di Enrico Giovannini

Negli ultimi 50 anni, modifiche profonde sono avvenute nel tessuto economico e sociale. In primo luogo siamo molti di più (circa 60 milioni) e viviamo di più nelle grandi città. Forse siamo anche più preoccupati rispetto al 1962, quando l'Italia era nel pieno del miracolo economico. Allora, il prodotto interno lordo progrediva a un ritmo del 6,5 per cento grazie a una forte industrializzazione, sempre più aperta alle relazioni commerciali, produttive e finanziarie tra Paesi. Negli anni successivi, la struttura economica italiana è diventata più simile a quella dei partner europei, ma la specializzazione manifatturiera rimane fondamentalmente quella degli anni 70, in un contesto di riduzione del peso delle grandi imprese. La contrazione della quota del settore manifatturiero sul Pil (oggi è al 16 per cento), compensata dal forte aumento della produzione dei servizi, è stata purtroppo accompagnata da una crescita della produttività nettamente inferiore a quella dei partner europei e da un'inflazione maggiore. Ciò ha avuto importanti riflessi sia sulle capacità di consumo e di risparmio delle famiglie, sia sulla sostenibilità dei conti pubblici. All'aumento del tenore di vita degli anni 60, 70 e 80, hanno fatto seguito 20 anni in cui il reddito per abitante è diminuito, con una tendenza alla bassa crescita anche prima dell'attuale crisi. In Italia si vive molto più a lungo: la speranza di vita è salita da 67 a 80 anni. Nel frattempo il tasso di natalità si è dimezzato. La combinazione tra aumento della sopravvivenza e bassa fecondità ha reso l'Italia uno dei paesi con il più elevato livello di invecchiamento. Si è ridotta la dimensione delle famiglie, sono diminuite le coppie coniugate con figli e sono aumentate le nuove forme familiari. (...) Si esce dalla famiglia più tardi e si assiste a uno spostamento in avanti di tutte le fasi della vita. L'età media delle madri alla nascita del primo figlio aumenta continuamente: siamo passati dai 25,7 anni del 1962 ai 30,2 di oggi. I comportamenti della popolazione femminile sono cambiati molto: non solo continua ad aumentare la partecipazione scolastica, soprattutto nella scuola superiore, ma le donne conseguono risultati migliori: il 78 per cento delle ragazze ottiene il diploma contro il 70 dei ragazzi. Nel mondo del lavoro, però, permangono forti differenze di genere e l'incremento occupazionale delle donne si è concentrato nei settori professionali in cui la presenza femminile era già relativamente più numerosa e negli impieghi a orario ridotto. (...) Le migrazioni hanno segnato fortemente il Paese (...) Negli ultimi 20 anni, in particolare, la popolazione straniera è quasi triplicata e si è realizzato, per molti se non per tutti, un significativo processo di integrazione e radicamento (...).
Anche le caratteristiche del mercato del lavoro si sono modificate: solo negli ultimi 20 anni gli occupati a tempo determinato sono aumentati del 48,4 per cento, a fronte di un incremento generale dell'occupazione dipendente del 13,8. (...) Parallelamente, la mobilità sociale è diminuita: confrontando i giovani delle generazioni entrati nel mondo del lavoro entro i 25 anni, le opportunità di miglioramento rispetto ai padri sono cresciute fino alle generazioni degli anni 50, si sono ridotte per le generazioni successive, mentre i giovani di oggi della classe media hanno un'elevata probabilità di peggiorare la propria posizione. Le difficoltà odierne non devono fare desistere dall'impegno a realizzare un progresso economico rispettoso dell'ambiente e più inclusivo, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni. Conoscere da dove si viene e le condizioni attuali del paese descritte dalle statistiche dell'Istat deve non solo farci assumere una prospettiva corretta della nostra storia, ma anche stimolarci a conseguire un benessere difficile, forse più basato su beni relazionali che materiali, comunque alla nostra portata. Definire un nuovo concetto di benessere, mettendolo al centro dell'agenda politica e di quella personale, richiede nuovi indicatori statistici e l'Istat sta operando per il loro sviluppo: qualità della vita, sostenibilità, equità, vulnerabilità sono alcuni degli elementi che definiscono il benessere.

A fine anno, insieme al Cnel, pubblicheremo il primo rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes): da esso speriamo che i cittadini e la politica traggano una migliore conoscenza del Paese per decidere come andare incontro ai prossimi 50 anni con realismo, ma anche con speranza.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica