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Il vizio di fare il portavoce dei morti sicuri di non essere mai smentiti

Da Travaglio a Mazzetti, da Ingroia alla Bindi, ecco chi fa carriera grazie ai defunti eccellenti

Il vizio di fare il portavoce dei morti sicuri di non essere mai smentiti

È una nuova professione, una figura politica e giornalistica inedita: il portavoce del morto. Colui che ne prosegue il pensiero. Poco importa se corrisponda a quello vero dei defunti. Loro non ci sono più, ahinoi. E dunque. Fortuna che qualcuno si è incaricato di farli parlare ancora. Magari a sproposito. Impossibili da smentire, i portavoce dei morti non abbisognano di nomine e documentazione. Basta un pizzico di millanteria, una certa voglia di carriera e si autocertificano ognuno secondo la propria indole. Il piagnucoloso, l'arrogante e il furbacchione. Si tratti di un grande intervistatore televisivo, della penna più fulminante del giornalismo italiano, dei magistrati uccisi dalla mafia: non importa, il morto è mio e lo rappresento, lo interpreto, lo divulgo... lo immortalo io.
Loris Mazzetti è il ventriloquo post-mortem di Enzo Biagi. Marco Travaglio l'esegeta abusivo di Indro Montanelli. Antonio Ingroia il presuntissimo continuatore di Giovanni Falcone e, in seconda battuta, di Paolo Borsellino. Sono gli esempi più illustri della nuova professione in voga. Poi ci sono le vedove inconsolabili di qualche maître à penser scomparso da decenni, da Pasolini a Antonioni, da Bobbio a Galante Garrone fino al Bachelet ripetutamente citato e rimpianto da Rosy Bindi. Ma qui la faccenda si stempera in una nostalgia inguaribile. Infine ecco figli, nipoti e discendenti vari, custodi dei diritti post-mortem di giornalisti e scrittori. Guai se citi una frase senza chiedere il permesso alle fondazioni... Qui, invece, la grana si fa pecuniaria.
Per tornare ai monopolisti del verbo del defunto, il caso di giornata è quello di Mazzetti, capostruttura di Raitre, che ha annunciato con prosa petulante la nuova iniziativa del Fatto quotidiano. Da giovedì prossimo, il giornale diretto da Padellaro pubblicherà settimanalmente un'intervista realizzata da Biagi per Raiuno. La notizia si è compendiata in una lacrimevole paginata nella quale Mazzetti ha ripercorso per l'ennesima volta la carriera del «nonno», com'era chiamato in redazione, guarda caso partendo dal famigerato editto bulgaro e, a ritroso, fino al passaggio dalla carta stampata a «quando disse di sì alla Rai di Ettore Bernabè». Che poi sarebbe Bernabei, storico direttore generale della tv pubblica dal 1960 al 1974.
La versione spocchiosa e rivendicativa del portavoce post-mortem è invece quella prestigiosamente rappresentata da Travaglio. Insieme con la sdoganatissima Isabella Ferrari, il vicedirettore del Fatto ha portato in giro per l'Italia uno spettacolo intitolato Anestesia totale incentrato sugli scritti montanelliani. Lei era l'attrice-lettrice, lui l'esegeta. Un successone. Altrove, Travaglio è prodigo di citazioni di dialoghi privati e non verificabili con l'ex direttore del Giornale: «Stai attento, Marco - mi disse una volta - questa volta durerà a lungo e io sono felice del fatto che non vedrò la sua fine. Combatti la tua, la nostra battaglia, ma guardati le spalle, perché l'uomo sembra simpatico, e a piccole dosi lo è, ma con chi gli tocca la roba è vendicativo...». Chissà di chi parlavano.
Come ha scritto Mario Cervi, «Travaglio evoca sovente, e ampiamente, colui che definisce il suo maestro... Ma l'utilizzarlo, con insistenza petulante, per avvalorare e alimentare furori d'oggi, mi sembra poco elegante».
L'interpretazione opportunistica del monopolista del morto è quella incarnata da Antonio Ingroia. Nel pieno dell'ultima campagna elettorale con Rivoluzione civile l'ormai ex pm replicò ai colleghi scettici sulla sua avventura politica paragonandosi a Giovanni Falcone. «Forse non è un caso», spiegò, «che quando iniziò la sua attività di collaborazione con la politica le critiche peggiori giunsero dalla magistratura. È un copione che si ripete». Ne seguì una violenta polemica con Ilda Boccassini, per uscire dalla quale Ingroia convocò un altro mostro sacro dell'antimafia: «Mi basta sapere che cosa pensava di me Paolo Borsellino e cosa pensava di lei», sibilò l'ex pm palermitano.

Intervennero la sorella di Falcone, Maria, e Salvatore Borsellino: «Contino entrambi fino a 30 prima di aprire bocca», disse rivolto a Ingroia e Boccassini, «e lascino il nome di mio fratello fuori da questa campagna elettorale».
E pace all'anima sua.

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