Da mesi Barack Obama promette «la più imponente riforma della finanza dai tempi della Grande Depressione». E un pacchetto di leggi, prima o poi, verrà approvato. Ma non sarà certo rivoluzionario. Anzi. Quella che si annuncia è una riforma che metterà qualche paletto, aggiungerà burocrazia, farà leva sulla retorica, arte nella quale Obama è maestro, ma non intaccherà lo strapotere del mondo finanziario statunitense. La crisi del 2008 ha evidenziato due problemi di fondo: da un lato la commistione tra banche daffari e banche commerciali, dallaltro la devastante influenza dei derivati, che consentono leve debitorie sproporzionate, al punto da muovere nel mondo 600mila miliardi di dollari, pari a dieci volte il Pil globale. Con profitti ma anche rischi altissimi, come si è visto nel 2008. Per rimediare sarebbe stato opportuno ripristinare il Glass-Steagall Act che per 70 anni ha imposto la separazione tra banche daffari e commerciali e che fu abolito nel 1999 su iniziativa di Summers, oggi superconsigliere di Obama. McCain e il democratico Cantwell lo hanno proposto, ma la Casa Bianca e Wall Street si sono subito opposti. Per migliorare il sistema sarebbe stato necessario obbligare chi specula con i derivati a impiegare quote di patrimonio proporzionali alla leva usata. Ovvero, come ha scritto Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera, a depositare la posta prima di scommettere. Dunque a rischiare sempre e solo soldi veri, accompagnando queste riforme allo smantellamento degli oligopoli, come quello dei Credit default swap, in mano a 5 banche, o delle tre agenzie di rating, regolando i mercati Otc ovvero i mercati fuori dai circuiti borsistici tradizionali, nonché gli innumerevoli conflitti di interesse che minano la trasparenza di mercato.
Nessuna di queste misure è in vista. Il decalogo proposto dallex governatore Volcker e adottato da Obama, che avrebbe dovuto impedire alle banche commerciali di giocare dazzardo con i soldi dei contribuenti, è in via di spolpamento al Congresso e ha già perso buona parte della sua forza. Il presidente intende dare più poteri di controllo sulle banche alla Federal Reserve ovvero alla Banca Centrale americana che, però, è privata ed è posseduta dalle stesse banche che dovrebbe controllare. Il conflitto di interessi è colossale ed è amplificato dallassenza di verifiche indipendenti sulloperato della Federal Reserve. Obama ha previsto una norma per regolare i mercati Otc, però
si è scordato di indicare le sanzioni per chi non rispetta la legge. Vuole imporre standard patrimoniali più rigorosi e prudenti, che riguardano anche la liquidità e la gestione dei rischi, ma non in misura tale da scongiurare tracolli sistemici e rischi di contagio. E infatti chiede la creazione di un fondo da 90 miliardi di dollari da usare nelleventualità di una nuova crisi Lehman. Non scalfisce i privilegi delle tre onnipotenti agenzie di rating, lascia il mercato dei Cds così comè.
Qualche settimana fa la Commissione bancaria della Camera ha proposto una norma per vietare alle banche commerciali di essere anche dealer sul mercato dei derivati. Subito si sono levati gli scudi di Wall Street, della Casa Bianca e persino di Volcker. Non a caso. Obama non è abbastanza forte per sfidare davvero lestablishment finanziario. E allora si arrabatta. Cerca di alzare qualche guard-rail, di migliorare i soccorsi, di far verificare i freni e di imporre qualche tagliando in più.
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