Con la sua linea di alta moda, veste decine di principesse arabe, fra le quali la figlia e la moglie di re Abdullah dellArabia Saudita. Trentotto anni e quattro figli dai 3 ai 15, il libanese Tony Ward nel mondo dellalta moda ci è cresciuto («sono nato nellatelier di famiglia, a Beirut, che lavora da 70 anni»). Ora ha deciso di debuttare con il prêt à porter. Per la prima volta a Milano, Ward ha presentato ieri al Four Season la nuova collezione, fatta di giacchini sartoriali, abiti corti da cocktail confezionati con sete italiane e pizzi di Sangallo, e finiti a mano in Libano.
Da Beirut allEuropa. È stato difficile?
«Ho iniziato a disegnare a 18 anni per Lanvin con Claude Montana. Quindi sono andato a Parigi, dove ho lavorato nellufficio design di Dior, quando cera Gianfranco Ferrè, e di Chloè quando cera Karl Lagerfeld. Poi i miei clienti mediorentali e russi mi hanno detto: Mettiti in proprio
».
Detto fatto...
«Nel 98 ho fondato il marchio e lanno dopo sono tornato a Beirut, dove continuo a vivere, anche se in questo periodo vado spesso a Mosca, dove ho aperto un atelier, dato lalto numero di clienti russi».
Ci racconti delle principesse arabe...
«In Arabia Saudita ci sono migliaia di principesse, e io ne vesto molte. Le più in vista? La moglie e la figlia del re, la principessa Mona. Una settimana fa le ho consegnato un abito che doveva indossare a un matrimonio. Ancora prima di metterlo, si è accorta che mancavano almeno 15 centimetri di stoffa: in sartoria lavevano confusa per unaltra principessa: con lo stesso nome ma con due taglie di meno. Si è concluso tutto con una risata, e con un abito di riserva».
Comè cambiata Beirut negli ultimi anni?
«Hanno ricostruito tutto, e stanno ancora ricostruendo. Questestate in Libano abbiamo avuto due milioni di turisti. Un ottimo traguardo se si conta che il Paese ha tre milioni di abitanti ed è grande come lEmilia Romagna».
Lei è cristiano: comè la situazione nel suo Paese?
«Noi cristiani siamo il 40 per cento, il resto sono musulmani, i problemi ci sono sempre, ma non solo in Libano. Noi stilisti, e in tutto il Paese siamo più di 130, abbiamo comunque sempre lavorato. Guardi, a Beirut, al contrario di quanto si creda si vive bene. Cè una qualità della vita alta. Siamo vicino al mare e alla montagna, siamo al centro di tutto: a tre ore di volo da Milano, da Mosca e da Riad.
Ma dica la verità, a Beirut non stanno mica tutti bene?
«No, cè tanta povertà. E anche da noi i ricchi stanno diventando sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri».
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