«Io, studente-cavia, sconfiggerò la malaria»

Su «Newton» la storia di Lucas, che sta testando su di sé un nuovo farmaco

Nino Materi

Toglietevi dalla testa il «Giardiniere Tenace», romanzo di John le Carré dove un gruppo di giovani diventa «riserva di caccia» delle multinazionali farmaceutiche alla ricerca di cavie umane.
Lucas Lupifieri, 22 anni, assomiglia invece a Gianluca Zambrotta: ha occhi neri, capelli corti e pizzetto che ricordano quelli dell’Azzurro campione del mondo. Lucas non fa il calciatore, ma come il centrocampista della nostra nazionale ha un gran coraggio; il suo «hobby», infatti, è sperimentare nuovi farmaci. La cavia umana, appunto. Ma perché un ragazzo come lui - diplomato in elettronica e impiegato in un call center nell’hinterland milanese - ha deciso di testare sul suo corpo gli effetti di un siero antimalarico? «Questa attività mi serve per guadagnare qualche euro in più, però mi fa anche piacere l’idea di aiutare la ricerca a migliorare le medicine per combattere una malattia che ancora provoca nel mondo tra uno e due milioni di morti all’anno».
La storia di Lucas (e quella di alcuni altri suoi «colleghi» ospiti del Cross Research di Arzo, in Canton Ticino) rientra in una documentata inchiesta dal mensile Newton che, nel numero di agosto, dà voce alle testimonianze di questi «ragazzi-provetta» in bilico tra l’esigenza di «guadagnare qualcosa» e quella di «essere utili al prossimo». Anche se poi - a sentire Simone, 27 anni, studente di Scienze naturali - questo secondo aspetto non è certo preponderante: «Il volontario di solito non lo si fa per la scienza ma per i soldi. Il denaro guadagnato negli ultimi due anni mi è servito a pagare qualche bolletta, acquistare una macchina fotografica, fare una vacanza. Piuttosto che fare il cubista o il fotomodello preferisco dedicare qualche week end a questa attività senza sprecare troppo tempo per i controlli, visto che vivo vicino al Centro di Arzo. Anzi, ci vado con gli amici, guardo la televisione, mi porto il computer, studio. L’ambiente è tranquillo e gli infermieri simpatici».
Paura degli «effetti collaterali»? Neanche questo spaventa Lucas, che risponde tranquillo: «Mi avevano detto che avrei potuto avere attacchi di panico, nausea, mal di testa, capogiro, dolori addominali; in realtà sto benissimo, al punto che non mi pare neppure di aver preso quelle pastiglie...».
Ma vale la pena rischiare per 500 euro (compenso medio per 4 giorni di test), che però possono arrivare fino a 1500 se gli esami aumentano e la permanenza nel Centro svizzero si prolunga di qualche settimana? Un lavoro svolto sempre nel rigoroso rispetto di protocolli etici e scientifici; tutto in piena legalità e sicurezza, almeno si spera. Un contesto teoricamente supergarantito che ha spinto questi studenti a fare da cavie all’interno di un meccanismo più grande di loro.
«Posso interrompere la sperimentazione in qualsiasi momento - sostiene Simome -. Poi faccio sempre controllare dal mio medico di famiglia il tipo di molecola che devo provare. Inoltre accetto solo i test sugli antinfiammatori. Al primo prelievo sono svenuto, ma solo perché ho paura degli aghi. Poi mi sono abituato. Per il resto, accuso solo qualche leggero mal di testa». Apparentemente sereno si mostra pure Fabio, 21 anni, ma con poca voglia di parlare: «Di questo “lavoro” non sa nulla nessuno...».
Un fenomeno che si incrementa da anni, come dimostrano i dati dell’«Ufficio del farmacista cantonale» dove dal 2000 esiste un registro (unico in Svizzera) sui volontari sani.
Solo nel 2005 le cavie da laboratorio sono state 585, il 20% in più rispetto al passato (all’inizio del Duemila erano in media 480 l’anno). Cinquantadue i protocolli eseguiti. Gli «arruolati del farmaco» sono per la maggioranza lombardi: secondo le statistiche del Dipartimento cantonale della Sanità l’81% dei volontari sani proviene da Milano, Como e Varese; il 15% è di nazionalità svizzera (o abita oltreconfine); il rimanente 4% è composto da persone con passaporto di altri Paesi, ma che abitano in Italia.
«Il 93% dei volontari ha partecipato a uno studio solo — spiegano i responsabili del Comitato etico, nato appositamente per controllare il fenomeno —. Quarantuno persone (il 7%) si sono sottoposte a due protocolli. Mentre una sola a tre, il massimo consentito».
«Uno stop è utile per consentire una pulizia del corpo — sottolineano nei tre maggiori Centri di sperimentazione elvetici -, ma anche per ridurre il rischio che si sviluppi il professionismo della sperimentazione. In generale, 6 su 10 sono uomini, 4 su 10 donne. I pendolari sono principalmente giovani tra i 23 e i 26 anni, ma sono in aumento anche i sessantenni, che magari decidono di sottoporsi allo studio attratti da un check-up gratuito.

In 8 casi su 10 la sperimentazione riguarda copie di farmaci già sul mercato di cui è scaduto il brevetto (i cosiddetti farmaci generici); in 2 casi su 10 il test concerne invece nuovi prodotti».
Ed è per questi ultimi che si rimediano le «paghe» più alte: danaro che si spera non si debba poi spendere in medicine.

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