Per Israele la guerra

Il Medio Oriente è in queste ore in preda a venti di opposta intensità: da una parte la visita della Rice che promuove un orizzonte di pace in vista del summit di novembre a Washington; dall’altro numerosi segnali che l’intera area è pericolosamente penzolante verso una possibile guerra. Non aveva l’aria rilassata ieri Condoleezza Rice quando è uscita dall’incontro con Abu Mazen a Ramallah e ha preso il microfono per dire che Bush ha intenzione di invitare a Washington il presidente palestinese e il premier israeliano Olmert solo per concludere qualcosa di sostanziale per lo Stato palestinese e la pace.
Difficile anche l’incontro con Olmert, in cui il premier israeliano ha tuttavia promesso di liberare altri 200 prigionieri palestinesi, perché Olmert, al contrario di Abu Mazen, non vuole fare promesse che gli alienino l’opinione pubblica. Condi appariva stanca della spola fra le speranze di pace e la dura realtà. Tuttavia, nonostante il più volte ventilato desiderio dei palestinesi di rimandare, il summit si farà probabilmente il 15 novembre, mentre dai sauditi e dell’intero schieramento arabo moderato che Condi auspica di costruire contro Ahmadinejad le notizie sono incerte, le promesse vaghe.
In Cisgiordania, a Nablus, dopo tre giorni di durissima battaglia in cui un soldato israeliano è stato ucciso, l’esercito ha arrestato un giovane pronto a compiere un attentato suicida a Tel Aviv. Durante la vasta operazione, che ha impegnato molti soldati e alcune unità speciali, e che dimostra come anche la Cisgiordania sotto la sovranità di Al Fatah sia a tutt’oggi base di lancio di operazioni terroristiche di Hamas e delle Brigate di Al Aqsa, sono stati arrestati 36 ricercati che preparavano attacchi suicidi. Ci sono stati morti e feriti. Intanto, Gaza è stata dichiarata «entità nemica», e la reazione è stata anche ieri quella di nuovi missili Qassam su Sderot, e di reiterate minacce da parte di Khaled Mashaal da Damasco.
Anche i Paesi arabi, com’era da aspettarsi, lanciano condanne contro Israele, e dall’Europa giungono richieste di recedere dalla scelta compiuta ieri dal governo. La scelta di Israele di lanciare il suo anatema verso Gaza insieme al dibattito infuocato sull’operazione di distruggere una struttura nucleare in Siria qualche giorno fa (ormai confermata dalle parole incaute di Netanyahu) proprio durante la visita americana, non è casuale: appare come un memento, in mezzo alle belle intenzioni, di una situazione che forse non è mai stata tanto pericolosa. Quelli a cui piace figurarsi la Siria come un Paese sostanzialmente inerme, che in fondo cerca solo di essere accettato e di fare la pace con Israele, forse apriranno gli occhi dopo l’ottavo assassinio politico degli oppositori libanesi della Siria, quello del deputato antisiriano Antonie Ghanem.
Il regime alawita è pronto a tutto pur di preservare il potere, in particolare oggi nell’imminenza dell’elezione del nuovo presidente libanese. I denti li mostra senza paura, e non è un caso, anche dopo aver subìto l’attacco israeliano contro cui ha promesso una risposta. Intanto abbiamo avuto la prima: una grafica descrizione, rossa di sangue, di dove può arrivare la determinazione a non affrontare il processo per l’uccisione di Rafik Hariri, comminato dall’Onu e che se gestito da un Parlamento libanese avverso può indicare Bashar Assad come responsabile.
La Siria agisce così allo scoperto anche perché sente di godere di una potente protezione internazionale, quella dell’Iran e in genere di tutto un grande fronte armato fino ai denti e pronto alla guerra. Gli Hezbollah, l’anno scorso, attaccarono Israele forti della loro protezione iraniana; la Siria, galvanizzata dalla cosiddetta vittoria degli Hezbollah, ha organizzato sulle alture del Golan una «forza di resistenza» contro Israele, poi ha cercato di piazzare delle mine su una strada israeliana sul Golan, e intanto ha costruito una forza missilistica inusitata, mentre firmava nell’aprile 2006 un’intesa di reciproca difesa con l’Iran.
La Siria è forte del fatto che una sua sconfitta sarebbe per l’Iran un colpo indigeribile per il suo disegno di conquista; lo si vede anche in questi giorni, mentre gli iraniani minacciano Israele di vendetta per l’incidente in Siria in cui sono stati uccisi anche tecnici iraniani che costruivano ad Al Safir armi chimiche e presentano un loro nuovo missile simile all’F18 americano. Dopo l’attacco israeliano a un campo di esercitazioni degli Hezbollah nel giugno 1994, il 2 giugno nel centro della comunità ebraica di Buenos Aires 86 persone furono uccise da un’esplosione e 240 furono ferite. Il processo ha trovato tracce iraniane.

L’Iran non abbandona i suoi amici e protetti, quindi Bashar Assad, se si vede in pericolo, potrebbe sentirsi spinto verso un incidente che porti a una guerra. Intanto, anche Hamas prepara la sua reazione alla prospettiva del tutto indesiderata della conferenza di pace di novembre.

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