nostro inviato a Torino
È qualcosa di più di un semplice comizio da campagna elettorale. Perché al Lingotto di Torino Silvio Berlusconi non si limita a tirare la volata al candidato governatore Roberto Cota ma celebra nei fatti quell’asse con Umberto Bossi di cui si parla e scrive da tempo. Se sabato scorso a piazza San Giovanni i protagonisti erano stati proprio il Cavaliere e il Senatùr, in Piemonte il premier fa decisamente un passo in più, concedendosi per la seconda volta in due settimane a Cota - unico candidato a godere del «privilegio» non solo politico ma anche mediatico - e certificando nei fatti lo «stato di grazia» tra Pdl e Lega. Insomma, se al Nord più di un dirigente del Popolo della libertà teme l’avanzata del Carroccio, Berlusconi pare non curarsi affatto del problema. Perché, come ha ripetuto decine di volte, «Umberto non è solo un alleato fedele ma un amico». Così, ad accogliere il candidato leghista è un’enorme sala piena di bandiere del Pdl e palloncini bianchi e azzurri, le note dell’immancabile Menomale che Silvio c’è e qualche sparuta bandiera della Lega. Il segno tangibile che Cota è a tutti gli effetti il candidato di tutto il centrodestra. La certificazione di un binomio, quella tra Pdl e Carroccio, che Berlusconi non teme affatto, tanto che in due occasioni cita i due partiti insieme e non lesina elogi anche al candidato leghista alla guida del Veneto Luca Zaia. Cota ringrazia, «per il grande sostegno in campagna elettorale» e per «l’affetto personale». Il Cavaliere ricambia e lo definisce «un amico da sempre». E a mettere il timbro su quanto siano in sintonia Berlusconi e Bossi c’è una lunga digressione sul capitolo immigrazione, caro alla Lega e - per ragioni opposte - pure a Gianfranco Fini. Che, inevitabilmente e pur senza mai essere nominato, nella grande sala del Lingotto resta relegato in un angolo. «Non voglio che il modello Tunisi diventi il modello Piemonte», dice Cota. «Sono d’accordo con lui, la sinistra vuole aprire le porte all’immigrazione selvaggia solo perché spera nei loro voti», chiosa il premier. È il passaggio che incassa più applausi.
Berlusconi, poi, torna a puntare il dito contro la «magistratura politicizzata». «C’è un partito dei giudici - dice - che interviene nella politica con il fine di cambiare i governi voluti e votati dagli elettori. Siamo di fronte a una malattia della democrazia, una vera patologia». Al punto che «se a questi giudici le leggi non vanno bene fanno eccezione di costituzionalità alla Corte costituzionale che è composta da undici membri della sinistra e da quattro di centrodestra». E così «ottengono che tutte le volte la Consulta abroghi la legge fatta del Parlamento». Per questo, insiste, «la sovranità nei fatti non appartiene più al Parlamento ma ai giudici di sinistra». Ragione, questa, per rilanciare una «grande riforma della giustizia». «La faremo nei prossimi tre anni di lavoro - ribadisce - perché dobbiamo uscire da questa situazione di democrazia ferita e violata. Sarà la prima grande riforma che presenteremo in Parlamento dopo il voto e andremo avanti anche se non avremo il concorso dell’opposizione».
Il risultato della tornata elettorale, insomma, servirà al governo per «aggredire» le riforme: «Prima dobbiamo decidere fra l’elezione diretta del premier o quella del presidente della Repubblica e sarete voi, interpellati attraverso i gazebo, a indicare quale via prenderemo». «Se davvero vogliamo che il Pdl sia un grande partito che segni la vita politica dei prossimi decenni - aggiunge - deve essere un partito democratico, un partito che ascolta la gente».
Il premier sfiora anche la polemica che si è aperta sulle prese di posizione della Cei. Non entra nel merito, ma spiega che «la nostra forza politica è ancorata alla tradizione cristiana». Poi torna sull’impegno nella lotta contro il cancro. «Io sono stato toccato e da quando ne sono uscito - dice - ho grande rispetto nella ricerca e nella prevenzione su cui dobbiamo fare un grande sforzo». E risponde nuovamente a chi lo ha bollato come un «capopopolo». «È vero che lo sono - dice - perché mi piace servire il popolo». Su Pier Ferdinando Casini - che in Piemonte sostiene Mercedes Bresso - ha parole dure: «Era il 12 dicembre 1993 e lo ricordo perché l’ho segnato sul mio diario. Casini mi disse chiaro: “Io non starò mai con il centrosinistra”». Insomma, «è uno scandalo».
C’è spazio anche per qualche battuta, soprattutto dopo che viene ferito leggermente al mento da un sostenitore. «Il troppo affetto può essere pericoloso: salutando la folla ho subito un uppercut con un’unghia. Porterò a Roma il sangue versato a Torino per la nostra vittoria».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.