Jannuzzi: Parlamento addio il prossimo sarà pieno di pm

Il senatore azzurro non fa drammi per la mancata ricandidatura: «Il voto? Le liste sono intasate di magistrati, è in atto l’unificazione dei poteri...»

Sprofondato nella poltrona con un gilè d'altri tempi, il baffo bianco e i gesti stanchi, l'ottantenne Lino Jannuzzi sembra un Buddha antico. L'alone venerando è accentuato dalla penombra del salotto che avvolge la vasta biblioteca e il soffitto a travi della sua bella magione nella Roma barocca. Il vecchio senatore assapora con lentezza un toscano e si gira con flemma verso di me.
«Che ca...zo ci fai lì impalato?», chiede, mandando all'aria tutta la poesia. «Siedi e bevi il caffè che ti ho preparato», ingiunge il falso Buddha, gli occhi vispi dietro le lenti spesse. Benvenuti nel mondo di Lino.
«Abiti proprio davanti al Senato. Amore viscerale per la Camera cui appartieni?», chiedo e mi sistemo al suo fianco.
«Amore viscerale per la comodità. Qui sono in centro e mi muovo a piedi. Sarebbe perfetto, se non ci fosse questo casino» e tende l'orecchio al viavai della sottostante Piazza Navona.
«Il Pdl non ti ha ricandidato. È la mannaia degli ottant'anni?».
«Ufficialmente, sì. La parola d'ordine era: rinnovare. Come? Cacciando vecchi e rompico...ni. Infatti, hanno silurato anche i miei coetanei Alfredo Biondi ed Egidio Sterpa».
«La realtà, invece?».
«Berlusconi se l'è presa con noi tre perché abbiamo firmato la lista di Ferrara consentendo a Giuliano di partecipare alle elezioni», dice sornione.
«Ti ha condannato di persona?».
«Tutte le esclusioni importanti le ha decise lui».
«Gli vuoi male?», chiedo.
«Per ora, no. Tanto è vero che vado in giro a fare campagna elettorale per diversi candidati Pdl. Fra tre anni però scriverò le mie memorie e mi vendicherò di quelli che mi hanno dato qualche delusione».
«I tuoi attuali sentimenti verso il Cav?».
«Incredibile ammirazione. Gli sono grato per averci salvato nel '94 dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto. E, personalmente, per avermi fatto eleggere, sottraendomi alla galera in cui volevano rinchiudermi i magistrati che ho attaccato».
«Sei stato al Senato in tempi diversi. Nel '68, quando il Psi ti salvò dalla gattabuia dopo gli articoli sull'Espresso per il presunto golpe De Lorenzo-Sifar. Con Fi, dal 2001 a oggi. Differenze?».
«Un abisso. Una volta si lavorava. Ora, è la morte. Né un discorso, né un'iniziativa», dice spegnendo con soavità il sigaro.
«Una palude».
«Tra le sue mille bugie, Silvio ha detto una grande verità: in Parlamento sono sufficienti venti persone per fare le leggi, gli altri servono a votare. Inutile eleggere gente in gamba. Bastano culi di pietra che non rompano e premano un bottone».
«In Senato sei stato il paladino dei garantisti giudiziari. Senza di te, i forcaioli avranno mano libera».
«Il prossimo Parlamento sarà quello dei Pm. Il Csm è stato intasato di richieste di aspettativa dei magistrati che si candidavano».
«Orrendo», esclamo.
«Nel Pd saranno eletti con certezza ventuno Pm. Anche nel Pdl ne abbiamo messi in lista un bel po'. Non dico siano tutti giustizialisti, ma la cultura è quella».
«Nessuno fa più il suo mestiere», dico, facendogli da spalla.
«Il potere giudiziario si era già mangiato il potere politico. Ora, riempiamo il Parlamento di toghe. Invece della separazione delle carriere, c'è l'unificazione dei poteri», dice beffardo, ma di umore nero, mentre si accende un Avana che - mi spiega - lo rasserena più del toscano.
«A furia di scrivere contro i magistrati, nel 2005 sei stato condannato a due anni e cinque mesi. Se non era per la grazia di Ciampi finivi in carcere».
«O scappavo a Parigi dove ho casa. Mi ci sono anche rifugiato un mese, seguendo il consiglio del mio maestro Gaetano Salvemini. “Guarda Iannuzzi - mi disse mezzo secolo fa -, se anche ti incolpano di avere salito le guglie del Duomo di Milano e rubato la Madonnina, tu scappa. Poi si discute”».
«Per cosa hai preso i 2,5 anni?».
«Per avere difeso Enzo Tortora accusando i magistrati di averlo incarcerato senza prove. Come poi si è visto».
«Tra i 13 mesi degli anni '60 e i due anni e mezzo del 2005, sei il giornalista più condannato del dopoguerra. Vittima o delinquente?».
«Io sono convinto di avere raccontato la verità. Ma quando sei querelato dai magistrati, non c'è niente da fare. Tra breve pubblicherò con Mondadori un'antologia degli articoli che mi hanno causato le condanne, affiancati dal commento di giuristi, non solo italiani».
«Insegui il martirio?».
«Il martirio è bello. Ma meglio Parigi».
«Sei diventato la bestia nera dei giustizialisti alla Travaglio, Flores d'Arcais e compagnia».
«Sono io la bestia nera di quei magistrati che Sciascia chiamava i professionisti dell'antimafia. Nemmeno i perseguitati, poi assolti, come Andreotti e Mannino, hanno fatto le pulci ai loro azzardi come l'ho fatto io», dice con orgoglio. E aggiunge: «Quello che mi infastidisce nella mia non ricandidatura, è che ne gioiranno quelli che ho braccato. I Caselli, Scarpinato, Natoli». Lino si eccita, spegne l'Avana e si riaccende un toscano.
Cosa resta dell'erotomane che era in te, vividamente descritto da Marina Ripa di Meana, nel suo I miei primi quarant'anni?
«Uno stupido gossip. Il 16 dicembre 2007 ho celebrato le nozze d'oro con mia moglie. Questi sono i fatti. Il resto sono chiacchiere».
Sei stato fino ai tuoi 30 anni nella goliardia universitaria napoletana senza laurearti.
«Sette anni di medicina. Poi mi sono sposato e trasferito a Milano per lavoro. Sono ritornato a Napoli, iscritto a Legge, sono diventato Principe della goliardia e, a cinque esami dalla laurea, ho rinunciato».
Il tuo guasconismo nasce lì?
«Per la mia generazione, dopo la fine del fascismo, l'università fu la riscoperta della libertà. C'erano le sciocchezze della goliardia, ma anche la politica del parlamentino dell'Unuri».
Com'è cambiata la politica in sessant'anni?
«Oggi difendo la Dc e il Pci che non ho mai votati. Lo dico in polemica con questa molle Seconda Repubblica del c...zo. I Gava con la camorra ci convivevano, ma la controllavano. Guarda la Calabria. Quando c'erano i vecchi dirigenti, la ’ndrangheta era formata da quattro pastori. Oggi, è fortissima e comanda a bacchetta. Colpa anche della magistratura che ha distrutto la classe politica».
Quali politici di allora ti hanno più colpito?
«De Gasperi, Andreotti, Fanfani. I miei amici, De Mita e Misasi. Donat Cattin e Marcora, due gigaaanti. Nenni, Amendola, Chiaromonte. Ce n'è una marea».
Quelli di oggi?
«Bazzecole. Da questa parte, c'è Berlusconi. A sinistra, zero. Al Senato è emersa da poco Anna Finocchiaro. Prima, c'era solo Gavino Angius capace di parlare. Per il resto, molte brave persone - non tutte, sia chiaro - ma al di sotto della sufficienza».
Sei ancora vicino ai radicali che hai frequentato per decenni?
«Li guardo da lontano. Con Pannella sono sempre stato conflittuale. Bonino l'ho vista crescere quando era ancora una ballerina».
Ballerina?
«Il papà era una grande ballerino del Cuneese e usava lei come partner».
Sono ancora quelli di un tempo?
«Non sanno più che pesci pigliare. Accettano la vergogna dell'esclusione di Pannella dal Pd e si fanno anche fregare sulle liste da Veltroni. A Marco non era mai successo. Sono allo sbando».
Veltroni è un osso duro per il Cav?
«Uscirà con le ossa rotte. Le sue affabulazioni non hanno diminuito di un punto il vantaggio del Cav».
Il Cav è ancora lui?
«No, ma è un grande. L'antipolitica l'ha cavalcata, ma per contenerla. È un fenomeno straordinario. Concorre per la quinta volta alla presidenza del Consiglio e vincerà per la terza volta. Alla fine, avrà dominato la scena vent'anni come Mussolini».
Il difetto?
«Quando uscirà di scena, non lascerà niente. Spariranno tutti. Un Paese occidentale avrebbe avuto bisogno d'altro. Ma lui avrà giganteggiato».
Come ti senti da napoletano con i rifiuti ad altezza Vesuvio, il turismo rasoterra, la mozzarella alla diossina?
«Sarei tentato di votare Gava e Pomicino. A Gava i camorristi baciavano l'anello in segno di rispetto ed erano relegati ai margini della società. Con Bassolino, che non risulta abbia rapporti con loro, comandano. Scegli tu cos'è meglio».
Pecoraro Scanio?
«Pecoraro mi fa ribrezzo. Ma quest'accusa di Woodcock mi sa di cavolata. Spiace che ci sia di mezzo il capitano Ultimo che ha condotto l'indagine. Lo conosco. È bravissimo».
Che ti mancherà del Senato?
«I servizi li ho tutti: posta, banca, rassegna stampa e Palazzo Madama al portone di casa».
Come sei materialista. Pensavo a qualcosa di ideale.
«Non voglio fare la volpe e l'uva. Ma non rimpiango il fatto di stare dodici ore seduto al banco, a 80 anni, premendo il bottone rosso o verde come ho fatto per l'intera legislatura. Per di più, sapendo che non si vinceva. Se non c'era Mastella, col cavolo che si andava a elezioni».
Che farai?
«Scriverò libri.

Di due ti ho accennato. Un altro paio li ho in cantiere».
Quale ricordo pensi di lasciare tra i tuoi colleghi?
«Nessuno. Il nulla del Senato attuale si è riverberato su tutti noi, annullando anche me. E ce ne vuole!».

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