Jodie Foster vuole salvare un Mel Gibson alla deriva Ma rischia anche lei

da New York

The Beaver, l’ultimo film diretto da Jodie Foster, esce domani nelle sale americane e verrà presentato, fuori concorso, al festival del cinema di Cannes. Ma probabilmente non sarà lei - che torna al ruolo di regista dopo un lungo periodo sabbatico di 15 anni - al centro dell’attenzione dei fotografi francesi. Sulla Croisette avrà al proprio fianco il bad boy di Hollywood, Mel Gibson, scelto come protagonista della pellicola, nei panni di un uomo caduto in depressione. Proprio lui potrebbe essere il più grande ostacolo tra il film e il grande pubblico, o forse, al contrario, la principale ragione per cui quel pubblico dovrebbe esistere.
Il copione è infatti stranamente «parallelo» alla sua vita privata: Gibson, che era adorato dall’establishment di Hollywood ai tempi de The Passion, adesso è considerato persona non grata. Il divorzio, l’alcolismo, la violenza domestica e la causa (cui pure la sua amante russa Oksana Grigorieva ha deciso di rinunciare) per l’affidamento della figlia, per non parlare delle sue invettive antisemite, l’hanno messo in cima alla lista nera e più di un regista, oggi, si rifiuta di lavorare con lui.
Eppure la Foster lo difende: «Sono cresciuta nel mondo del cinema e capisco la rabbia, capisco la complessità dell’animo umano. Non difendo gli atteggiamenti violenti di Mel, ma continuo a stimarlo». Alcuni critici credono che la Foster rischi il suicidio professionale, ma lei è convinta che Gibson meriti di essere giudicato per l’incredibile performance del film, che mette in risalto il dramma della malattia mentale oggi più comune tra gli americani. La Foster aveva acquistato anni fa la sceneggiatura di Kyle Killen (entrata nel 2008 nella Black List, ovvero la lista dei migliori script di Hollywood non ancora prodotti), nella quale un uomo d’affari, sposato e con due figli (Riley Thomas Stewart e Anton Yelchin) cade in depressione e ritrova la forza di confrontarsi con il mondo grazie a un castoro di peluche.
Nei panni di Walter Black, l’amministratore delegato di un’azienda di giocattoli sull’orlo del fallimento cacciato di casa dalla moglie, Gibson è bravissimo e a detta dei critici ha regalato alla Foster un’interpretazione da Oscar, anche se disperante e quasi grottesca. Simile, per molti versi, alle sue follie degli ultimi mesi. La Foster (che nel film ne impersona la moglie), si trova ora a difendere un amico di vecchia data: «Il mio film - dice - parla di un uomo che tenta disperatamente di trovare un modo per continuare a vivere, e questa è l’unica idea che gli sovviene».
Gibson, che da mesi si è rinchiuso nella sua villa californiana, per promuovere The Beaver ha persino accettato di farsi intervistare. Nei giorni scorsi ha inviato all’attrice e regista un messaggino: «Mi trascineranno nel fango durante le interviste, ma per te sono disposto a farmi massacrare». Al che Jodie, che divenne sua amica dopo aver recitato con lui in Maverick, nel 1994, gli ha risposto: «Per favore, non farti massacrare per me».
La situazione è decisamente anomala: lei, da sempre sostenitrice delle femministe, si trova nei panni della paladina di un uomo accusato di essere razzista e misogino, con idee politiche e religiose assai diverse dalle sue. Eppure lo protegge: «Sono cresciuta con l’idea che l’industria del cinema fosse come una famiglia, come la mafia. Vige la legge dell’omertà e non tradisci i tuoi amici».

Anche se il prezzo da pagare è alto: The Beaver avrebbe dovuto apparire nelle sale statunitensi già lo scorso autunno, ma la casa di distribuzioni Summit Entertainment l’aveva bloccato, aspettando che la sfuriata dei media contro Gibson, e la sua situazione legale con l’ex fidanzata, si quietassero. Ora i tempi saranno maturi? Fra pochi giorni lo sapremo.

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