Fausto Biloslavo - Bahram Rahman
Rahmatullah Hanefi, il discusso mediatore di Emergency, doveva venire rilasciato ieri alle 12, ora di Kabul, dopo quasi tre mesi di detenzione a causa del suo ruolo nella liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo rapito dai talebani. Invece c’è ancora qualche ostacolo da superare, nonostante Gino Strada sia già nella capitale afghana per portarsi via il suo uomo. Questa storia potrebbe riservare dei colpi di scena e stanno venendo alla luce notizie, che erano state tenute debitamente nascoste sia da parte afghana che italiana.
Innanzi tutto Hanefi è stato processato, per due soli giorni e a porte chiuse da una Corte speciale composta da tre magistrati, come rivela a il Giornale il suo avvocato, Ajmal Hodman. La sentenza di primo grado ha respinto tutte le accuse, ma il procuratore Fatah Khan, rappresentante dell’accusa, sostiene che il caso è ancora aperto. «La Corte l’ha scagionato e Hanefi - dice il legale - sarà rilasciato, ma l’Nds (i servizi afghani che hanno raccolto il dossier contro l’uomo di Emergency, ndr) crede ancora nelle accuse presentate. Continueremo a seguire il caso e quindi significa che non è completamente chiuso. Se sarà necessario si faranno ulteriori indagini».
L’aspetto più incredibile è che informazioni cruciali, raccolte dai servizi afghani nella provincia di Helmand, compresa una lista di testimoni e le dichiarazioni a verbale dei familiari di Sayed Agha, l’autista decapitato dai talebani, che accusavano pesantemente Hanefi, non sono mai arrivate a Kabul, alla Corte di primo grado. Neanche i familiari di Adjmal Nakshbandi, l’interprete anche lui ucciso dai talebani, che avevano fatto diverse rivelazioni, sono stati sentiti in tribunale.
Tutti si aspettavano un processo vero e proprio, al quale avrebbe potuto assistere la stampa, e invece giudici e difesa si sono ritrovati a porte chiuse. «Le udienze sono cominciate il 10 giugno continuando l’11. Il processo è durato due giorni e la sentenza è arrivata il 16. La Corte era composta da tre magistrati, uno dei quali si chiama Taeeb, ma non posso dire di più per questioni di sicurezza. Eravamo presenti, oltre alla Corte, solo io, Hanefi e il procuratore, Fatah Khan, per l’accusa», ha raccontato al Giornale l’avvocato dell’uomo di Emergency. Un giovane di 28 anni stipendiato dall’International legal foundation, un’organizzazione non profit americana.
Per quanto riguarda le accuse, Hodman ne cita alcune: «Tradimento, appoggio ai talebani, coinvolgimento nel rapimento (di Mastrogiacomo, ndr) e nell’uccisione di Adjmal (l’interprete del giornalista di Repubblica, ndr), atti terroristici e denaro intascato da tutte e due le parti (italiani e talebani, ndr)». I servizi afghani, però, non sono riusciti a presentare prove adeguate e la difesa ha vinto la causa. «C’è stata un’incomprensione di fondo – sostiene l’avvocato –. Nel processo di negoziazione (per liberare Mastrogiacomo, ndr) Hanefi faceva solo quello che gli italiani gli dicevano di fare. Era un traduttore fra i talebani e l’ambasciatore italiano (Ettore Sequi, ndr) e altri italiani coinvolti nel caso».
Per quanto riguarda le torture che, secondo Emergency, Hanefi avrebbe subito all’inizio della detenzione, il suo avvocato sostiene che sono accuse «ridicole. Non è mai stato picchiato ed era veramente ben trattato. Il fatto che sia stato torturato è completamente falso. A parte i problemi renali che aveva pure prima della detenzione, sta bene». Inoltre Hodman fa capire molto chiaramente quale sia stata la posta in gioco delle pressioni italiane sul governo afghano per risolvere il caso Hanefi. «Se Emergency riprenderà le sue attività in Afghanistan, 1500 persone torneranno al lavoro.
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