Il Kosovo e il principio dell’autodeterminazione

Gent.mo dott. Granzotto, come si spiega il sì degli Stati Uniti (e di conserva anche dell’Unione europea) all’indipendenza del Kosovo e il no a quella del Kurdistan? Non ha l’impressione che il principio di autodeterminazione dei popoli valga esclusivamente in base alle convenienze americane?


Da che mondo è mondo la geopolitica, caro Valentini, non è terreno per educande. Né per idealisti. Nessuno vi si è mai inoltrato senza pensare al proprio tornaconto (presente o futuro). Però attribuire agli Stati Uniti la sovranità di indicare quale plaga, quale popolo o etnia abbia diritto all’indipendenza e quale no, mi sembra davvero fuori luogo. Oltre tutto né Washington né altra capitale hanno il potere di creare uno stato indipendente il quale, come è ovvio, deve crearsi da sé. Sennò dove andrebbe a finire l’autodeterminazione dei popoli? Che poi è un principio (esposto nel 1919 dal presidente Wilson alla Conferenza di pace di Versailles e successivamente codificato nella Carta delle Nazioni Unite) così generico da tornar buono (o cattivo) a seconda da come lo si interpreta. Cosa s’intende esattamente per «popolo»? Cosa s’intende esattamente per «dominazione straniera»? Potrebbero un giorno gli abruzzesi costituirsi in popolo e, ritenendo il governo italiano una dominazione straniera, legittimamente «autodeterminarsi» in Stato indipendente? Come richiedono da tempo, magari a suon di bombe, il Paese Basco o l’Irlanda del Nord?
Alla sua domanda, perché il Kosovo sì e il Kurdistan no, si può rispondere ricordando che il primo è una presenza storica e geografica ben caratterizzata mentre il secondo, per dirla con Metternich (che quando la disse era nel giusto), è una semplice e nemmeno ben definita espressione geografica. Il Kosovo ha alle spalle esperienze di autonomia e di sudditanza, di indipendenza e di dipendenza. Inoltre, in base alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle (sante) Nazioni Unite il Kosovo poté fornirsi di governo e Parlamento - tratti distintivi dello Stato - e porsi sotto il protettorato internazionale. Il problema dei curdi è assai più complesso: sono divisi tra cinque Stati - Turchia (che ne nega addirittura l’esistenza chiamandoli «turchi di montagna»), Iran, Irak, Siria e Russia - non hanno un’istituzione che li rappresenti unitariamente né, in materia di autonomia, possono vantare precedenti (se si esclude l’effimera - undici mesi - e circoscritta Repubblica Curda di Mahabad, proclamata nel 1946). Come è giusto che sia, l’indipendenza del popolo curdo può essere invocata e promossa, possono - e devono - essere denunciate le vessazioni, quando non proprio le «pulizie etniche» a loro danno (Saddam Hussein, con la collaborazione di Alì «il chimico», giustamente finito sulla forca, ne sterminò 180mila). Si possono esercitare pressioni (l’Europa poteva farle sulla Turchia che chiedeva l’ingresso nella Ue. Se n’è ben guardata), ma la sovranità non può essere imposta: l’autodeterminazione è, giustappunto, «auto»: promossa «da se stesso».

E se un giorno, che io m’auguro prossimo, i curdi coglieranno il momento e troveranno la forza per avviarlo, il processo di autodeterminazione, stia certo, caro Valentini, che nessuno potrà fermarli (come d’altronde la potente e vicina Russia non ha potuto impedire ai kosovari di guadagnarsi la sovranità).

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