Fabio Volo, Luciana Littizzetto, Faletti, la Mazzantini. Sono i più venduti di questa settimana (e di tante altre, passate e probabilmente future). Poi ci sono i Moccia, i Camilleri, i Carofiglio: insomma, i bestselleristi del 2011, del 2012 e anche del 2013... Scrittori di cui oggi non possiamo fare a meno, ma che è arduo immaginare possano essere letti anche dai nostri figli, e dai loro. I bestselleristi di oggi, tra cent’anni li leggeremo ancora? I loro titoli, oggi strapopolari, a portata di mano in ogni autogrill e in ogni supermercato, sopravviveranno nella memoria collettiva?
Se il futuro si può immaginare applicando gli stessi parametri del passato, allora i Volo, le Avallone, i Moccia, forse anche i Baricco e i De Luca, tra un secolo (anche meno) saranno dei signori nessuno. Come oggi sono dei signori nessuno i Michele Lessona, i Salvatore Farina, i Brocchi, gli Zuccoli, i Salvaneschi... tutti autori scomparsi da tempo dalle librerie e dai manuali e che pure un tempo erano amatissimi e molto ma molto più letti rispetto ai Fogazzaro, ai Pirandello o agli Svevo (oggi dei classici, all’epoca però mai entrati nelle top ten).
Mastriani, Barrili, D’Ambra, Gotta... chi erano costoro? Un tempo Ciceroni, oggi carneadi. Che la critica non sia mai andata nella stessa direzione dei dati di vendita, si sa. Ma per capire quanto sia effettivamente alto lo spread tra i valori letterari da una parte e il successo commerciale dall’altro, bisognerebbe spulciare una montagna di dati e documenti accumulati lungo la centocinquantenaria storia (editoriale) del nostro Paese. Impresa compiuta da Michele Giocondi, studioso esperto di storia dei consumi culturali, che nel saggio I best seller italiani (Mauro Pagliai editore) ricostruisce gli «indici di Borsa» del mercato librario dal 1861, nascita del Regno d’Italia, al 1946. Mentre un secondo volume, in preparazione, sarà dedicato al dopoguerra, fino - appunto - a Tamaro, Moccia, D’Avenia, Paolo Giordano.
In due tomi, da Carolina Invernizio a Melissa P., come cambia la narrativa, e com’è cambiata l’Italia. L’affermazione di autori come Salgari e Liala (fuori quota) o dei meno famosi Fraccaroli e Guido Milanesi, racconta molte cose sulla cultura di un Paese, sulle sue mode, gli umori, i sogni, le paure e le ossessioni in un determinato periodo storico.
Ma chi erano i bestelleristi dell’800, i Saviano dell’età giolittiana, le superstar letterarie tra le due guerre? E soprattutto, che cosa scrivevano? E quanto vendevano?
L’antesignana delle future Tamaro è Enrichetta Caracciolo, una suora di clausura, uno dei longseller nell’Italia appena fatta: I misteri del chiostro napoletano (1864), che l’editore Barbera acquisì dall’autrice in cessione perpetua per 1400 lire e poi ristampò per decenni. Come tiratura eguagliò I miei ricordi di D’Azeglio (per assicurasi il quale lo stesso Barbera, due anni dopo, sborsò 10mila lire). Morale: l’editore diventò ricco, suor Enrichetta morì ottantenne, nel 1901, dimenticata da tutti. Anton Giulio Barrili, invece, già ghostwriter di Garibaldi, fu autore seguitissimo e prolifico: settantadue (!?) opere fra romanzi, novelle, diari. Il suo personale bestseller fu Come un sogno, un bel feuilleton uscito nel 1875 che nel 1910 aveva già raggiunto le 28mila copie e nel 1940 le 75mila, e che insieme agli altri titoli sempre ristampati gli fruttava - come confessò a un amico - «molti biglietti da mille ogni anno». Un po’ come il nostro Camilleri, insomma.
Poi, certo, c’erano anche gli ancor oggi celebri De Amicis, Verga e naturalmente Collodi, in assoluto l’autore italiano più venduto di tutti i tempi. Ma chi si ricorda oggi del medico fisiologo Paolo Mantegazza che col romanzo epistolare Un giorno a Madera (1868) - storia di un amore infelice tra due tisici, destinata a concludersi in maniera funebre per entrambi... una cosa alla D’Avenia, dài - ottenne un successo straordinario per un totale di 100mila copie vendute? Oppure Salvatore Farina, già da giovanissimo un beniamino del pubblico, uno che a 28 anni aveva scritto dieci romani e c’era chi lo definiva il «Dickens italiano»?
Carolina Invernizio, qualcuno forse se la ricorda: scrisse 130 romanzi (tra i quali un vero cult fu Il bacio di una morta, del 1886), facendo la fortuna del suo editore Adriano Salani. Un caso letterario di proporzioni inaudite e mai più riscontrate nel nostro panorama letterario. Fino a Sveva Casati Modignani... anche lei osannata dalle casalinghe e snobbata dagli intellettuali, entrambi di Voghera.
Ancora. Umberto Notari con Quelle signore (1904), un romanzo che parlava del mondo delle prostitute attraverso le confessioni di una di loro di nome Marchetta, segnò un’epoca. Grazie allo scandalo, la censura e due processi per oscenità, vendette in quattro mesi 150mila copie: nel 1925 arrivò a 580mila e, tradotto in mezza Europa, in due anni superò il milione di copie. Sì, esatto: più o meno come Aldo Busi. A proposito di prurigini&marketing... Guido Da Verona, il più amato romanziere tra le due guerre, rimane insuperato quanto a diffusione, tirature e vendite (esattamente 15 volte quelle di D’Annunzio!). Però morì suicida... Mentre l’ebreo Pitigrilli, tra gli anni Venti e i Trenta, con i suoi otto romanzi-scandalo a base di sesso, cocaina e dissoluzione arrivò (record assoluto) ai due milioni e mezzo di copie. Poi si convertì al cattolicesimo.
E Mario Mariani? Vendette uno sfracello.
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