L’accorta regia di Vladimir

Per Mosca, il vertice di oggi e domani con Bush nel Maine è quello del «Putin pride». Il presidente russo si presenta all’incontro con posizioni di forza su tutti i punti in discussione, determinato a riaffermare che la Russia è di nuovo in gioco: primo produttore di gas al mondo, secondo per il petrolio tallonando il primato saudita, terzo posto per le riserve pregiate, con 400 miliardi di dollari dopo Cina e Giappone. Nella centenaria casa di Kennebunkport costruita dal nonno di George W. Bush sull’oceano, l’atmosfera sarà di grande ospitalità, ma le reciproche carinerie non copriranno i contrasti, sottolineati da parte russa fino alla vigilia con ben orchestrate manovre e segnali.
Prima della partenza, Putin ha ospitato per due giorni a Mosca il venezuelano Chavez, alfiere dell’antiamericanismo insieme con Castro. Chavez, esaltando l’opposizione russa al sistema antimissile Usa in Europa, ha pronunciato in una pubblica cerimonia parole di stampo sovietico: «Resistenza al dominio imperialista americano che vuole imporre la tirannia, opposizione al bombardamento imperiale come ci ha insegnato Lenin, che ha indicato l’imperialismo come ultimo stadio del capitalismo». Putin ha evitato di presenziare a questa sfuriata ideologica, a cui erano comunque presenti altri alti esponenti russi, e ha anche fatto cancellare un previsto discorso di Chavez alla Duma. Ma accogliendolo nella sua residenza, davanti ai giornalisti gli ha detto: «Ora avremo colloqui su questioni economiche e sui nostri legami militari». Pubblica conferma di ulteriori forniture al Venezuela, che già l’anno scorso firmò contratti di tre miliardi di dollari per caccia Sukhoi e altri armamenti, tra cui centomila mitragliatori Kalashnikov.
Chavez è interessato ad acquistare nove sottomarini, di cui sei lanciamissili. La data della sua visita, con il prevedibile arsenale retorico antiamericano, non è stata casuale da parte russa: attivarsi nei Caraibi e in Centro America è un avvertimento e una risposta all’allargamento della Nato e a quelle che il Cremlino considera intrusioni Usa nella sua zona di influenza, come Ucraina e Georgia.
Offrire Mosca come palcoscenico all’antiamericanismo di Chavez è stata la cornice finale dell’attenta regia di Putin in vista dell’incontro odierno. Il 24 giugno, in un incontro coi Paesi balcanici a Zagabria su questioni energetiche, Putin ha confermato alla Serbia l’opposizione all’indipendenza del Kosovo, che l’Europa sostiene e su cui Bush si è impegnato nel discorso in Albania. Venerdì la Russia non ha neanche partecipato alla discussione della terza bozza del piano Onu. È un punto su cui non cederà, una rivincita su quando, nel 1999, la Nato fece la guerra superando la contrarietà russa e ignorando l’Onu, e anche la preoccupazione che si apra un vaso di Pandora, con legittimazione di rivendicazioni di indipendenza nel composito quadro post-sovietico, in primo luogo la Cecenia.
Sul sistema antimissile in Polonia e Cekia, dopo aver offerto di basarlo sul radar russo in Azerbaigian, ben sapendo della non compatibilità con gli impianti Usa, nei giorni scorsi Mosca ha sperimentato un nuovo missile, esaltandolo come capace di superare qualsiasi scudo. E alle preoccupazioni Usa in riferimento all’Iran, il ministro degli Esteri Lavrov ha dichiarato l’altro giorno che esso non è una minaccia, e che per almeno 15 anni non avrà missili intercontinentali.
Questi contrasti concreti si inquadrano nella più ampia strategia di Putin di ritrovare la potenza di un tempo incalzando gli Stati Uniti: in febbraio, con l’attacco all’uso spropositato della forza, in maggio, paragonando la politica Usa a quella del Terzo Reich, e recentemente rivendicando la necessità di un nuovo ordine economico mondiale.
Non siamo alla guerra fredda, ma a grande tensione, sì.

La Mosca odierna non avrà le mire egemoniche sovietiche, ma non si rassegna al secondo piano davanti alla superpotenza solitaria. L’intesa post 11 settembre è finita. L’amicizia personale tra i due leader non ricompone la divergenza di interessi, mentre si sono induriti anche i rapporti russi con l’Europa.

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