Politica

L’Ambiente inquinato dagli ambientalisti

Gli scienziati: «L’elettrosmog non incide sulla salute dell’uomo»

Le questioni ambientali sono innanzitutto questioni scientifiche, e ci conforta vederle trattate in un compendio divulgativo sulla scienza. Ma sono questioni anche sociali, e di esse se ne sono così appropriate comunità diverse da quelle scientifiche, in particolare le associazioni ambientaliste nate col preciso scopo di occuparsene. Ebbene - mi duole ripeterlo - sono queste ultime la causa del maggiore danno all'ambiente: nell'affrontare le questioni ambientali ignorano sistematicamente la scienza, servendosi invece dell'emotività che riescono a trasmettere, purtroppo troppo spesso assecondate da alcuni politici e organi d'informazione. Gioveranno alcuni esempi.
Avviandoci verso l'inverno, si riproporrà, come ogni anno, la questione dell'inquinamento atmosferico delle aree urbane: tutti i provvedimenti invocati dalle associazioni ambientaliste - a cominciare con le curiose targhe-alterne e a finire con quelle pittoresche giornate di baldoria che sono le domeniche-a-piedi - hanno, numeri alla mano, impatto irrisorio sull'inquinamento dell'aria, nullo sui benefici sanitari, e devastante sulle casse dei contribuenti. La coppia «costi elevatissimi e benefici ambientali nulli» è una costante nei provvedimenti - brillanti per ignoranza scientifica - suggeriti da quelle associazioni. Come quando indussero il governo italiano, nel 2000, a predisporre una normativa per interrare i cavi di trasmissione dell'energia elettrica, con una spesa pari ad alcune finanziarie, in nome della protezione da un presunto inquinamento elettromagnetico. Che, per la scienza, non esiste. Ci provarono anche con un referendum, grazie al cielo fallito. Come quando provarono (quella volta con successo) col referendum che ci indusse a chiudere le centrali nucleari: solo noi seguimmo gli ambientalisti e oggi, grazie a essi, mentre in Europa quella nucleare è la prima fonte di produzione di energia elettrica (un terzo del totale), in Italia essa è assente. Se non come bene d'importazione. La scienza conosce bene i rischi connessi all'esposizione alle radiazioni ionizzanti. È però necessario sapere anche quanto quei rischi siano stati sovrastimati. La sovrastima nacque dall'ipotesi di lavoro che esistesse danno anche a dosi minuscole. Quell'ipotesi di lavoro, ancorché ragionevole, dagli ambientalisti fu arbitrariamente tramutata in certezza scientifica, e grazie alle loro pressioni è rimasta tale anche dopo essersi rivelata infondata. Inoltre, le sua applicazione è passata, altrettanto arbitrariamente, da finalità radioprotezionistiche a finalità di valutazione patologica, con la conseguenza che è stato spesso quello psicologico il maggiore danno subito dalle popolazioni esposte a dosi irrisorie di radioattività.
Nel contesto dell'inquinamento dei suoli, appare curiosa la definizione - per legge - di «sito contaminato» come quel sito in cui viene superata la concentrazione limite (spesso arbitraria) rispetto anche ad un solo agente inquinante. Una definizione che, oltre a non avere basi scientifiche, ha un impatto economico devastante in conseguenza delle opere di bonifica che, appunto per definizione, andrebbero eseguite. Ricordo, ad esempio, il caso, oggi di scarsa importanza pratica, dell'atrazina, per la quale le concentrazioni di sicurezza nell'acqua potabile sono state dalla comunità scientifica individuate nell'ordine di 750 ppb (parti per miliardo). Alcuni Stati, con eccesso di zelo, portarono il limite a 65 ppb (Canada) e a 15 ppb (California): una precauzione priva di conseguenze visto che, comunque, la concentrazione effettiva risultava dell'ordine di 10 ppb. Singolare fu il comportamento dell'Italia, quasi unica a recepire la stravagante raccomandazione europea di abbassare il limite a 0.1 ppb; una singolarità accentuata dal fatto che l'Italia era il maggiore Paese produttore di quell'erbicida.
Potremmo continuare con altre pittoresche invenzioni, dall'inquinamento genetico indotto dall'uso di Ogm in agricoltura all'effetto serra antropogenico. Insofferente delle proteste della comunità scientifica, gli ambientalisti europei hanno inventato il principio di precauzione. Che suona più o meno così: in caso di dubbi della scienza, la società deve agire secondo i dogmi della religione ambientalista. Ma nessuno scienziato responsabile negherà mai di avere dubbi: il dubbio è radicato intimamente nella scienza; esso, anzi, ne è la forza. Verdi e ambientalisti sono stati capaci di farne il suo tallone d'Achille, contrapponendo, a quel dubbio, le loro finte certezze.

Sono, costoro, i veri nemici della scienza e dell'ambiente.

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