L’ambiguo Musharraf in un vicolo cieco

Si è legato agli Usa ma non ha impedito la crescita del movimento integralista. Ora deve solo sperare nella fedeltà dell’esercito

L’ambiguo Musharraf in un vicolo cieco

Al Qaida, i talebani, hanno fatto il grande colpo. Hanno dimostrato una capacità di colpire gigantesca uccidendo la pakistana col velo trasparente, il rossetto rosso rubino e l’amore per la democrazia, la speranza democratica di una zona sempre in pieno terremoto jihadistico. Non solo le hanno sparato, ma hanno anche messo in scena il rito cannibalico del terrorismo suicida. Però questo attacco proprio nella sua «geometrica potenza» è quello che costringerà il mondo democratico o quello che ambisce alla democrazia a cambiare la sua strategia. Stavolta non si scherza: la scena dell’attacco non è un paese africano, non è Israele né l’Arabia Saudita: il Pakistan è il Paese delle cento bombe atomiche messe da parte sin da quando nel 1998, dopo una serie di test sotterranei fu dichiarato membro del club nucleare: le bombe potrebbero finire nelle mani dei terroristi. L’assassinio della Bhutto, una sostenitrice della legalità democratica, nemica dell’Islam estremo («chi usa il terrorismo - diceva - non è musulmano»), coraggiosa, forte, prima donna musulmana premier, è una conferma di quanto gli estremisti siano capaci di determinare il futuro del Pakistan e del mondo: abbiamo visto nei mesi scorsi la conquista della Moschea Rossa ad Islamabad; recentemente uno scontro frontale ha messo in campo gli uomini del Mullah Fazullah, legato ai talebani, contro 3.000 soldati pakistani. Nel Waziristan, nella cintura tribale del Pakistan sono ormai episodi consueti gli scontri fra truppe regolari e talebani. La forza acquistata dagli estremisti, fra i quali Al Qaida prospera, è legata a una politica americana che ha cercato di essere più morbida possibile: dopo l’attacco dell’11 settembre gli americani dettero a Musharraf, dittatore militare, la scelta fra andarsene o aiutarli a sconfiggere Al Qaida e i talebani. Musharraf accettando la seconda ipotesi aiutato gli americani in Afghanistan, ha però consentito a Al Qaida e ai talebani di fuggire e rafforzarsi in Pakistan. Musharraf ha anche impedito agli americani di interrogare A. Q. Khan, il mago delle bombe che pare avere grande parte in tutti business atomici dei rogue states e delle organizzazioni terroriste. Musharraf non ha impedito né il diffondersi della presenza talebana né il consolidarsi presso il pubblico dell’idea che Bin Laden sia il leader migliore (il 46 per cento la pensa così, mentre il 37 preferisce Musharraf) e che non si debbano compiere operazioni militari contro Al Qaida o i talebani.
Oggi, a causa di una politica ambigua, il Pakistan è un santuario del terrorismo, e proliferano i movimenti sovversivi che Musharraf non ha affrontato. Così è stata assassinata Benazir, a causa dell’ambiguità di una strategia che non si è mai decisa a combattere il terrore. Musharraf, pur prendendo un miliardo e mezzo di dollari l’anno dagli Usa, ha consentito al suo esercito (di cui solo da poco ha abbandonato il grado di Comandante) di avere per motto: «Fede pietà e jihad sulla strada di Allah». Né gli americani gliel’hanno impedito: e hanno sempre lasciato perdere la richiesta più importante, quella di dejihadizzare il Paese. Dopo la crisi di ottobre, l’abbandono da parte di Musharraf dei gradi militari, l’arrivo di Benazir Bhutto, ecco la crisi frontale più grossa: ora si deve sperare che la confusione si plachi, ma non è detto, e che la parte migliore dell’esercito tenga saldamente in mano le chiavi della bomba atomica, e anche questo non è detto.

Il rischio è che possano avvenire vendite, magari ai sauditi preoccupati dall’Iran, o ai terroristi che cercano poco materiale fissile per le cosiddette «bombe sporche». Insomma, la crisi nucleare del prossimo anno, se gli Usa invece di sognare una democrazia indolore non si decidono ad agire presto, può essere doppia: quella iraniana e quella pakistana.

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