L’«Amelia al ballo» di Menotti commuove Spoleto

«Quello, vede, è un ragazzo che ha ben capito cosa occorre per il teatro. La sua vena è piccola e modesta, ma funziona. Quando alla televisione ho ascoltato il recente Amahl mi sono veramente commosso. E con i contemporanei mi succede raramente». Sono parole di Arturo Toscanini, classe 1867. Il «ragazzo» in questione è Gian Carlo Menotti che di anni ne ha meno della metà del Maestro. Per la ricorrenza del centenario della nascita di Menotti, il Festival dei Due Mondi, da lui fondato e diretto per mezzo secolo, con bella iniziativa ha aperto la sua cinquantaquatresima edizione con l’atto unico Amelia al ballo (1937).
Il Grande Vecchio non si sbagliava: già nella opera prima di Menotti convivono una «vena» musicale esile e un’indiscutibile funzionalità teatrale. Altro merito: l’aderenza della musica alla parola e alla vicenda. Ricorriamo al critico più sodale a Menotti, Fedele d’Amico: in Amelia «la regia è così patentemente predestinata dalla partitura, da non presentare problemi di sorta». E questo ha ben reso il regista Giorgio Ferrara che ha mantenuto i tempi della tenue pochade, servito dalla scena di Gianni Quaranta e dai costumi di Maurizio Galante evocanti gli antenati di quelle damazze milanesi che furono tra le più fervide sostenitrici del Menotti compositore e organizzatore musicale.
Oggi tutto quel mondo è sparito, come la quasi totalità della critica avversa a Menotti, che fu bestia nera dei capintesta della dodecafonia e dei loro più accaniti avversari, i difensori del tonalismo tradizionale. Risentita oggi Amelia fa ancora sorridere, ma il suo sapore buffo svanisce con la rapidità di una goccia di rosolio fatto in casa. Amelia al ballo richiede leggerezza esecutiva. Questa non è la prerogativa del direttore d’orchestra Johannes Debus che pure aveva ben impressionato l’anno passato in Henze. Ma i mondi di Henze e Menotti sono ben differenti. Sulla scena tutti hanno fatto il loro dovere: la figura incantevole di Adriana Kucerová (Amelia), pur ridotta al minimo vocale da una persistente indisposizione, lo sperimentato e sornione Alfonso Antoniozzi (il Marito, cocu), e il simpatico Sebastien Guèze nel ruolo dello svenevole Amante nevrotichetto.

Alla fine uscendo dal Teatro Nuovo (ora intitolato a Menotti) non ci siamo commossi come capitò a Toscanini per la musica del giovanotto di Cadegliano, ma per quanto Menotti in Spoleto ha fatto, che non è certo opera da dimenticare. Forse il suo capolavoro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica