Economia

L’America licenzia, l'Europa va in picchiata

Tornano ad ampliarsi i timori di recessione negli Stati Uniti. In agosto sono stati persi 84mila posti di lavoro: il tasso di disoccupazione al più alto livello degli ultimi cinque anni. I listini, in calo di oltre il 2%, bruciano altri 140 miliardi. L'euro abbandona quota 1,42

L’America licenzia, l'Europa va in picchiata

Milano - La recessione bussa con prepotenza alla porta dell’America, sotto forma del più alto tasso di disoccupazione degli ultimi cinque anni, unito alla persistente distruzione di posti di lavoro. Dati choc per gli analisti e, soprattutto, per le Borse, costrette a infilarsi per il secondo giorno consecutivo nel tunnel buio delle perdite. L’Europa ha finito la settimana con le ossa rotte: ai 170 miliardi di capitalizzazione svaporati giovedì, se ne sono aggiunti ieri altri 140, sacrificati da perdite superiori al 2% (meno 2,2% Milano), e analoga è stata l’intensità delle vendite sui mercati asiatici (meno 2,75% Tokio). Wall Street, vero epicentro del terremoto finanziario dopo il crollo del 3% accusato giovedì, ha rischiato di scendere sotto gli 11mila punti con l’indice Dow Jones, ma ha poi recuperato: in chiusura più 0,28% il Dow Jones e meno 0,14% il Nasdaq.

Ma la tensione resta altissima, settembre si conferma il più crudele dei mesi per le Borse (dal 1950 a oggi lo S&P 500 ha lasciato sul terreno in media lo 0,6%) e né la perdita di peso del petrolio (105,13 dollari ieri, punto minimo dall’aprile scorso), né il progressivo irrobustirsi del dollaro (euro spinto sotto quota 1,42) bastano ancora per convincere la Corporate America a posare la scure dei licenziamenti. I dati di agosto, diffusi dal dipartimento al Commercio, sono uno schiaffo in faccia all’ottimismo: il tasso dei disoccupati è balzato al 6,1%, il peggior risultato dal settembre 2003, quando l’organismo economico Usa era debilitato dalla crisi innescata dagli attacchi terroristici di due anni prima. Ora invece c’è la coda velenosa dei subprime, l’avvitarsi su se stesso del sistema bancario, il malessere profondo dell’intero sistema finanziario e dell’industria automobilistica a intossicare il mercato del lavoro. Sono 84mila i posti di lavoro persi il mese scorso, di cui ben 61mila bruciati proprio dall’auto: gli economisti avevano scommesso su un calo non superiore ai 75mila. A sbagliare i conti per difetto sono però stati gli stessi esperti del dipartimento del Commercio, costretti a rivedere al rialzo i dati di luglio (-60mila anzichè 51mila) e, soprattutto, di giugno (-100mila, quasi il doppio rispetto alla stima iniziale).

La Casa Bianca ha escluso un nuovo pacchetto di stimoli economici dopo quello da 150 miliardi di dollari varato nei mesi scorsi, ma l’allarme-lavoro è ai massimi livelli soprattutto per due motivi. Il primo: sta cambiando la «mappa» dei licenziamenti, non più circoscritta agli under 25 come nei mesi scorsi. Colpendo le famiglie, i tagli avranno ricadute negative sui consumi. Secondo motivo: da otto mesi consecutivi il saldo occupazionale è negativo, e una catena così lunga segnala «storicamente che l’economia è in recessione», spiega Jared Bernstein, dell’Economic Policy Institute. Gli fa eco il presidente della Fed di St. Louis, William Poole: «I dati sono deboli e aumentano le possibilità che siamo già in recessione».

Così come crescono le chance legate al mantenimento nei prossimi mesi dello status quo di politica monetaria. Il rialzo dei tassi, insomma, può attendere malgrado l’alto livello dell’inflazione. Un paio di giorni fa, del resto, il governatore della Federal Reserve di Boston, Eric Rosengren, aveva escluso la possibilità di una stretta proprio a causa della delicata situazione del mercato del lavoro. La Banca centrale Usa e quella europea sembrano così costrette a un forzato immobilismo. Con la Bce più esposta alle critiche di quanti vorrebbero un taglio del costo del denaro per sostenere l’economia.

Il commissario europeo agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, ha però espresso ieri pieno sostegno all’operato della Bce: «Penso che i cittadini europei vorrebbero meno inflazione e la Bce ha questo come obiettivo».

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