L’America riparte: crescita da «tigre» nel quarto trimestre

Quasi un ritmo di crescita da tigre asiatica, inatteso e ancor più sorprendente perché arriva dalla vecchia America, scossa dalla peggior crisi dai tempi della Grande depressione. Un’espansione del 5,7% nel quarto trimestre cancella la parola recessione dagli indici statistici Usa, pur lasciando ancora aperti gli interrogativi sulla sostenibilità della crescita nel 2010. Improbabile reggere un simile passo, del resto, senza aver prima sanato la ferita - che resta profonda - della disoccupazione e senza un contributo sostanziale dei consumi privati - che ancora manca.
Agire su questi due fronti è vitale per Barack Obama, costretto a un faticoso tentativo di recupero dei consensi persi nell’anno delle elezioni di medio termine. Non a caso, sebbene la Casa Bianca abbia giudicato il dato sul Pil «la notizia più positiva avuta finora sull’economia», il presidente si è affrettato ieri a illustrare il nuovo piano di stimolo da 33 miliardi di dollari, il cui perno centrale sono gli sgravi fiscali per le piccole imprese che assumono.
Comprimere sotto la soglia del 10% il tasso dei senza-lavoro è il primo obiettivo di Obama. Perfino più importante della battaglia ingaggiata con le banche a colpi di maxi-tasse (verso cui il ministro Tremonti ha ribadito ieri il proprio apprezzamento) e riforme del sistema finanziario. L’economia avrà anche ripreso a correre come un treno, ma Main Street, la gente comune, continua a soffrire i postumi della crisi. «È arrivato il momento di rimettere l’America al lavoro - ha detto Obama visitando una fabbrica a Baltimora, nel Maryland - Abbiamo avuto due anni molto duri». Il pacchetto di aiuti consentirà alle aziende minori di chiedere 5mila dollari di crediti fiscali per ogni nuovo addetto assunto. La richiesta potrà essere fatta su base trimestrale, in modo da consentire alle aziende un rimborso rapido.
Misure insufficienti? Probabile, ma meglio che niente. Il progresso di ottobre-dicembre dello scorso anno dell’economia è il migliore degli ultimi sei anni, contribuisce a mitigare a -2,4% la contrazione dell’intero 2009 (la peggiore dal 1946 per effetto del terrificante -6,4 del primo trimestre), ma non ha impattato sui livelli di occupazione. In vista della ripresa, le imprese si sono affrettate a ricostituire le scorte, che hanno infatti contribuito per il 60% alla crescita, senza però ricominciare ad allargare gli organici. La correlazione tra un mercato del lavoro in sofferenza e consumi delle famiglie in rallentamento rispetto al terzo trimestre (da +2,8% a +2%) è innegabile. Questo fenomeno si spiega anche con il venir meno degli incentivi, scaduti a fine agosto, e con retribuzioni salite appena dello 0,5% nell’ultimo quarter e dell’1,5% nell’intero 2009.
Ciò rende di difficile lettura l’andamento dell’economia nel 2010. Gli economisti puntano su un’espansione nel primo trimestre tra il 2,5 e il 3% e al di sotto del 2,5% nell’intero anno. Cifre insomma insufficienti per incidere sulla disoccupazione.

Le Borse europee non se ne sono però curate, mostrando il pollice alto alla crescita Usa (Milano a +1,36%), mentre Wall Street ha frenato nella seconda parte della seduta (il Dow Jones cedeva lo 0,22% a un’ora dalla chiusura e il Nasdaq l’1,43%) nonostante l’aumento della fiducia Usa in gennaio e la riconferma - risicata - di Ben Bernanke alla guida della Federal Reserve.

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