L ’arte complessa di intervistare gli intervistatori Partendo da Indro

Intervistare i giornalisti non è semplice. È gente che sa il mestiere e si difende. Intervistare, poi, giornalisti per decenni e tirarne fuori un libro che sia in qualche modo un racconto del mondo della carta stampata, dal dopoguerra ad oggi, è ancora più complicato. Tony Golia, classe 1954, nel suo L’Italia dei giornalisti (Edimond, pagg. 204, euro 20, prefazione di Roberto Gervaso) si cimenta con successo in questo gioco complicato. Molti anni trascorsi tra riviste e quotidiani l’hanno aiutato a fare le domande giuste (e brevi brevi) ad alcuni pezzi da novanta della storia dell’informazione nel nostro Paese.
E se il libro si apre con Montanelli che racconta la sua idea di giornalismo («Le immagini, le cose dette alla radio passano: il giornale resta») e si chiude con il controcanto di Enzo Biagi («Sarebbe già indice di civiltà se noi raccontassimo i fatti, se andassimo a vedere le cose, se parlassimo con la gente...) in mezzo ci sono tante altre voci che spaziano dai grandi inviati speciali ai vignettisti passando per i giornalisti sportivi: Giorgio Bocca, Gianni Brera, Giorgio Forattini, Giampiero Mughini, Piero Ottone, Roberto Gervaso...
E al di là dell’interesse di alcune delle vicende raccontate, Piero Ottone viene messo sotto torchio da Golia sulla vicenda della gambizzazione di Montanelli - Il Corriere titolò l’articolo con l’anonimo «I giornalisti nuovo bersaglio della violenza» -, a essere divertente è soprattutto la capacità di Golia di raccontare in piccoli quadretti o di far emergere in poche righe le caratteristiche umane delle penne con cui si trova a confronto. Ecco la breve «sitcom» che apre una delle interviste più belle, quella a un Mario Cervi che, tra tante altre cose, racconta i suoi esordi al Corriere: «Nella sede milanese del Giornale, apro la porta del suo ufficio di condirettore e immediatamente un cane, dalle minuscole dimensioni, mi salta addosso... Abitudine questa, come Mario dirà, che aveva preso con i visitatori.

Cervi si alza dalla poltrona e ordina, urlando il mio nome, di stare buono e di andare a cuccia. Un po’ confuso resto impalato in attesa di altri ordini. “Lo devi scusare” dice “Ma Golia vuol sempre giocare”. Quel cagnolino era di Montanelli e si chiamava come il sottoscritto».

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