L’arte di fotografare la bellezza degli spazi vuoti

Nella Sala Bianca di palazzo Pitti grandi fotografie mostrano, in una luce nuova, le bellezze di Firenze. In verità, la Firenze di Massimo Listri è una città ideale con vasti spazi abbandonati dall’uomo, che è altrove. Quando Listri arriva, è sempre un’altra ora. La sua. E non c’è nessuno. Fuori orario. Le case, le gallerie sono chiuse al pubblico, e, attraverso Listri, riservate soltanto ai nostri occhi in una privilegiata condizione di assoluta solitudine che, per Listri, significa anche perfezione. Così nel museo più visitato d’Italia, gli Uffizi, senza nessuno intorno, percorriamo il bianco scalone lorenese: maestoso, luminoso. L’occhio di Listri educa il nostro a vedere anche quello che rischierebbe di non vedere, o di non avvertire, soprattutto gli armoniosi volumi delle stanze. Listri adora le simmetrie, i punti di fuga, le visioni laterali, estendendo il campo della visione fino al più ampio limite. Delle meravigliose stanze che, accompagnati da lui, attraversiamo, nella costante ossessiva del taglio fotografico, avvertiamo una misteriosa profondità, un segreto svelato.
Accade sia nella riproduzione della Sala Bianca, che è la stessa nella quale sono ospitate le fotografie, sia in quella della Sala di Giovanni da San Giovanni che introduce al Museo degli Argenti. Anche gli spazi monumentali hanno una loro intimità e sono i contrasti di luce e rivelarcela, come nella sala da ballo di Palazzo Pitti o nella penombra dello scalone monumentale del Poccianti. Questi anditi, gli edifici monumentali perlustrati, hanno una densità di atmosfere psicologiche. Come in attesa di qualcosa che accada. Nel caso della Biblioteca Medicea Laurenziana il mistero dello spazio si risolve in un teorema matematico, così come nelle Biblioteche Riccardiana, Marucelliana e in quella di Michelozzo a San Marco, in una iperbole prospettiva.
Ma la soddisfazione somma per Listri viene dalla perlustrazione di spazi desolati, con le screziature sui muri delle macchie di umidità, o le rotture di mattoni e di intonaco; o con i fili sospesi, come si vede nelle stanze del Palazzo Mozzi Bardini, squallidamente deserte o popolate provvisoriamente di ponteggi. Listri è attratto dal disordine a cui dà regola e misura. E a maggior ragione se queste regola e misura siano nelle cose, come nella collocazione perfetta, dentro una tribuna absidata, del Davide di Michelangelo. Implacabile è l’occhio di Listri, pronto a riempirsi e a godere fra i gessi ordinati negli scaffali della gipsoteca di Bartolini. Ma nulla lo commuove più di un semplice salottino ottocentesco con due comò intarsiati come nella Villa Medicea di Poggio a Caiano. E l’estasi visiva la raggiunge, e noi con lui, nella stanza-paese illuminata dalla luce fioca di una giornata uggiosa in casa Martelli.

Il bel paesaggio dipinto con il trompe l’oeil di muri e cornicioni sbrecciati, sembra riconquistato allo sguardo dopo decenni di abbandono, con un tavolo polveroso e una porticina semiaperta, da cui avviarsi verso il nulla. Entrammo in quelle stanze un pomeriggio, e fu felicità di solitudine e di pensieri imperturbati. In questa stanza segreta c’è l’essenza della visione di Listri, fotografo di stati d’animo in spazi vuoti.

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