«L’EREDITÀ» IMPOSSIBILE DI RAIUNO

Per carità, che un gioco a premi voglia evitare di elargirne troppi si può anche capire. Non abbiamo forse detto tante volte che la quantità di denaro offerta dalle televisioni per ogni tipo di quiz o di giochetto, dal più scaltro al più sciocco, è eccessiva? Certo che sì. Però c'è modo e modo di non volerli pagare, questi premi. Si possono fare domande difficili, come è giusto. Si può lecitamente alzare la soglia di abilità richiesta per guadagnarli. Si possono persino seminare alcuni trabocchetti per rendere meno agevole il compito dei concorrenti. C'è chi invece non si fa problemi ad arrampicarsi sugli specchi, pur di non dover allargare i cordoni della borsa. Prendete ad esempio L’eredità (dal lunedì al sabato su Raiuno, ore 18,50), fortunato game show condotto da Carlo Conti che contiene, nella decisiva parte finale, una prova riservata al concorrente che nel frattempo ha eliminato i suoi avversari e spera di conservare il gruzzolo fin lì accumulato. Il concorrente in questione deve indovinare una parola attraverso le indicazioni fornite da cinque indizi che compaiono sul tabellone. È un gioco carino, un esercizio mentale sul tipo di quelli in uso alla Settimana enigmistica. Il fatto è, però, che il collegamento tra le parole proposte e quella prescelta come «giusta» è quasi sempre pretestuoso, incongruo, tirato per i capelli, tanto da sembrare quasi una presa in giro, o comunque un espediente escogitato apposta per rendere impossibile la soluzione del quesito, eccetto le volte in cui la produzione decide, una tantum, che la puntata possa concludersi con un vincitore. Gli esempi di questa sorta di «gioco delle tre tavolette», in cui al posto delle carte ci sono le parole (parola vince, parola perde) sono innumerevoli e quasi quotidiani. Scegliamo uno degli ultimi in ordine di tempo, allorché gli indizi per indovinare la parola prescelta erano rappresentati nell’ordine da: Scalfaro, quaranta, porta, perdonare e donna Rosa. Praticamente impossibile indovinare la risposta esatta, specie quando si viene a sapere che la parola che si sarebbe dovuta azzeccare era: sette.

Solo un paio di questi indizi poteva, pur con qualche contorsionismo di troppo, richiamare la parola in questione (ad esempio, i presidenti della Repubblica come lo è stato Scalfaro durano effettivamente in carica sette anni), ma quando la faccia tosta di Carlo Conti ci spiega dapprima che la porta di calcio è definita «il sette» (in realtà lo diceva, quarant’anni fa, solo Nicolò Carosio) e poi addirittura che donna Rosa era la sigla di Settevoci, ecco, a quel punto non solo il concorrente gabbato ma ogni spettatore si sente preso in giro, le mani cominciano a prudere e ci si vorrebbe vendicare in qualche modo, uno qualsiasi.

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