L’esperto del Mit: «L’effetto serra è di moda ma non ci sono prove»

nostro inviato a Venezia
Il professor Richard S. Lindzen, climatologo e membro dell’Accademia delle scienze Usa, scende in laguna dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, una delle università più prestigiose del mondo, e liquida gli allarmi su inquinamento, gas serra, riscaldamento globale del pianeta. «Allarmismo e isteria. Peggio, una moda politicamente corretta». Tsunami, uragani, effetto serra? Gli studi scientifici, i modelli di previsione, gli scenari catastrofici sul futuro del pianeta? «Non ci sono prove, anzi neppure basi scientifiche. I dati dimostrano che la responsabilità dell’uomo in termini di cambiamenti climatici è soltanto una remota possibilità».
«Ci sono enormi interessi legati a queste ricerche. E c’è un problema anche nella comunità scientifica - aggiunge Lindzen -: gli studiosi conoscono poco il problema. Il 90 per cento della ricerca climatologica in Europa è partita sui temi del riscaldamento globale. In America siamo al 50 per cento. Ma chi lavorava già prima di questa moda è fuori».
Lindzen è a Venezia ospite della Fondazione Umberto Veronesi per il terzo convegno sul «Futuro della scienza» organizzato con le fondazioni Giorgio Cini e Silvio Tronchetti Provera. Il «full professor» del Mit ieri mattina ha portato dati e osservazioni sperimentali per smontare le teorie più allarmistiche. Ma ha fatto una premessa sul metodo. Ha spiegato che i modelli matematici che propongono scenari futuri si basano su ipotesi, e oggi l'ipotesi prevalente negli studi di climatologia è che la colpa sia dell’uomo, dell'inquinamento, dell’utilizzo massiccio dei combustibili fossili (petrolio e carbone). Fattori naturali come le macchie solari e il vapore acqueo vengono messe da parte.
Tuttavia, prendendo per buono il recente allarme del rapporto Ipcc (il «panel» scientifico internazionale dell'Onu che da anni studia gli effetti dell'aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera), Lindzen dimostra che «anche attribuendo tutto il riscaldamento dell'ultimo secolo ai gas prodotti dall'uomo, il riscaldamento osservato non supera un terzo di quanto previsto dai modelli matematici».
Molti elementi contraddicono le tesi allarmistiche. I palloni aerostatici negli strati alti dell'atmosfera registrano temperature più basse del dovuto. E poi ci sono le analisi delle temperatura media della superficie terrestre: è cresciuta di circa un grado tra il 1850 e il 1940, poi c'è stato un raffreddamento fino al 1975. «Ricordo bene che allora qualche studioso parlò addirittura di una piccola era glaciale», sorride durante il dibattito il professor Renato Angelo Ricci, presidente onorario della Società italiana di fisica. Un raffreddamento paradossalmente coinciso con gli anni del boom industriale e petrolifero. Dal ’75 è ripartita una fase di ulteriore riscaldamento durata una ventina d’anni e dal 1995 la temperatura si è stabilizzata. Questo dicono le rilevazioni. Quindi il cosiddetto riscaldamento globale (che pure è un fatto: più 0,6 gradi nell'ultimo secolo) non è un fenomeno così lineare. E malgrado questo andamento non rettilineo ma ciclico, il biossido di carbonio è sempre aumentato.
Di conseguenza, la correlazione ipotizzata tra aumento di temperatura e aumento di anidride carbonica è lacunosa. «Non credo a tale legame - ha chiarito Lindzen -, ma ammesso che esista, è da dimostrare che le attività umane siano la causa del surriscaldamento».

L’Ipcc ha sbagliato? No, risponde il climatologo americano che dell'Ipcc è un collaboratore: «I suoi dati vanno letti e interpretati correttamente. Nemmeno loro sono così drastici. È antiscientifico dire che le attività umane sono la causa dominante dell'effetto serra».

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