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L’Europarlamento dà l’ultimatum ad Ankara

Passa un documento che considera il sì ai turchi «un processo aperto» ma non una scontata promozione

Alessandro M. Caprettini

da Roma

Via libera all’avvio delle trattative con Ankara. Ma più che dei semplici paletti, l’Europarlamento chiamato ieri a Strasburgo a dire la sua sul processo d’adesione della Turchia alla Ue, ha piazzato a sorpresa un paio di enormi paracarri sul già tortuoso cammino della trattativa. Rifiutando di votare il Protocollo d’intesa che estende ai nuovi stati membri l’unione doganale con la Turchia, visto che questa continua a rifiutare il riconoscimento di Cipro e impedisce il libero trasferimento di uomini e cose da e verso Nicosia. E chiedendo al governo di Erdogan non solo di riconoscere il genocidio degli armeni realizzato all’inizio del secolo scorso, ma facendo di questo riconoscimento «una condizione preliminare» sulla via dell’adesione.
Un colpo a sorpresa, quello battuto ieri in Alsazia, che non ha per ora effetti dirompenti - visto del resto il via libera al confronto che è stato votato da 356 eurodeputati, con 181 contrari e 125 astensioni - ma che complica ulteriormente una trattativa già spinosissima. «Un autogol» ha commentato la portavoce della commissione Pia Ahrenkilde. «Un errore - ha rincarato il finlandese Olli Rehn, commissario all’allargamento - che equivale al caso di un calciatore che, smarcato anche il portiere avversario, viene invitato dalla panchina a fermare il gioco e a tornare indietro con la palla». Sono preoccupate le cariche istituzionali di Bruxelles della piega che hanno preso le cose. Ma nell’emiciclo la pensano differentemente, e di parecchio. Prova ne è il documento con cui si autorizza il via ai colloqui (lunedì prossimo a Lussemburgo), con il quale si chiarisce intanto come «l’avvio dei negoziati rappresenta l’inizio di un processo di lunga durata e soprattutto aperto e dunque non destinato ad avere come conseguenza automatica nell’adesione». Gli europarlamentari «deplorano vivamente» poi che la Turchia non applichi il protocollo doganale (visto che ad Ankara il Parlamento si guarda bene dal votarlo) e sottolineano come il riconoscimento di Cipro «non può assolutamente formare oggetto di trattative».
Una serie di dubbi e di lagnanze che poi hanno preso corpo nella decisione di rinviare il varo del protocollo, su proposta dal capogruppo dei Popolari, il tedesco Poettering: 311 i voti favorevoli, 285 i contrari, 63 le astensioni. Ma non era che l’inizio. Visto che a quel punto un gruppo di socialisti francesi, capitanati dall’ex-ministro degli Interni Pierre Moscovici, ha presentato un emendamento in cui chiedeva il riconoscimento del genocidio perpetrato dai turchi contro gli armeni e il fatto che questo divenisse «precondizione» all’adesione alla Ue. Doppio il voto sulla questione: sul riconoscimento larghissima la maggioranza (542 contro 74 e 46 astensioni), mentre - un po’ a sorpresa - si è approvato anche che questo costituisca condizione preliminare con 304 sì, 294 no e 57 astensioni.
Dal fronte istituzionale si è immediatamente provveduto a gettare acqua sul fuoco delle polemiche. «È chiaro che la Turchia deve fare ancora tante riforme, ma il processo d’adesione deve cominciare perché i progressi compiuti da Ankara fin qui sono stati straordinari» ha messo in chiaro Douglas Alexander, ministro britannico e presidente di turno a Strasburgo. «Sarebbe un tragico errore chiudere la porta in faccia ai turchi in questo momento» gli ha fatto eco Franco Frattini da Bruxelles. «Il mancato voto sul protocollo è comunque solo un rinvio, non una bocciatura» s’è consolato Rahn. Resta il fatto che nell’Europarlamento è esploso ieri, ben visibile, il malessere per un allargamento che molti rifiutano e che si accoppia ad un più corposo nervosismo frutto del combinato disposto della bocciatura di Costituzione e bilancio. Divisi gli europarlamentari italiani: sinistra e Forza Italia (ma il vice-presidente azzurro Mauro reclama «la tutela della minoranza cristiana») sono per il via alla trattativa. L’Udc, per bocca di Cesa e Dionisi, ritiene invece «non maturo» il processo d’adesione. Contraria la Lega, astenuti quelli di An.
A questo punto si torna a Bruxelles dove oggi gli ambasciatori permanenti presso la Ue devono mettere a punto il «quadro negoziale» e cioè le condizioni per il dialogo con il Governo turco. Nuovi paletti che fanno montare l’irritazione di Erdogan e dei suoi.

Tanto che qualcuno non esclude che lunedì possa celebrarsi un divorzio e non una promessa di nozze.

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