L’Expo spaventa ma darebbe vita a una città vecchia

(...) situazione demografica della provincia, finiranno con l'essere occupati in gran parte da lavoratori extracomunitari (regolari e anche clandestini, come insegna il precedente dell'Olimpiade torinese) che accorreranno qui da ogni parte del mondo, aggravando i problemi abitativi, scolastici e sanitari. I 20 miliardi stimati di nuovi investimenti attirano sì, ma c'è anche il rischio che alimentino speculazioni edilizie, iniziative sbagliate, addirittura truffe, come avvenne per esempio in occasione della preparazione dei mondiali di calcio. Quanto ai 29 milioni di visitatori previsti nei sei mesi tra il 1° maggio e il 31 ottobre (161mila al giorno, se si fermeranno solo per 24 ore!), più che rallegrare i milanesi, li spaventano. Dove li metteremo? Chi li controllerà? Chi gli darà da mangiare? Sono le domande più comuni e nel sottofondo c'è il timore che ci sia una proliferazione di nuove strutture che, passata la festa, diventeranno ridondanti. Piace invece, come era da aspettarsi, la prospettiva di vedere finalmente completata la rete delle metropolitane, migliorati i collegamenti stradali e creata una grande infrastruttura verde, ma prevale la convinzione che questo avverrebbe comunque, Expo o no. Insomma, se Milano otterrà il sospirato sì, sarà un punto a favore dell'orgoglio meneghino, ma se dovesse vincere Smirne c'è anche chi tirerà un sospiro di sollievo e chi si affretterà a rinfacciare alla Moratti i molti soldi spesi nella campagna elettorale.
A mio avviso, questo scetticismo deriva essenzialmente da due fattori: primo, Milano è una città «vecchia», nel senso che i suoi abitanti hanno un'età media nettamente superiore a quella nazionale e che perciò faticano ad apprezzare benefici che si faranno sentire dopo otto-dieci anni; secondo, pochissimi sono informati sui grandi vantaggi, a breve, a medio e anche a lungo termine, che eventi simili hanno portato alle città che hanno avuto la ventura di organizzarli. A Osaka, per esempio, si percepiscono ancora le ricadute positive della prima grande Expo mondiale, quella del 1970, e le recenti fortune di Siviglia sono strettamente legate ai grandi investimenti fatti per quella di una decina di anni fa. Non mi risulta che una sola delle città coinvolte si sia pentita della scelta fatta. Per tutte, si è trattato di una occasione per attrarre capitali pubblici e privati e per mettere in mostra le proprie attrattive, in un'era in cui la grande mobilità delle genti fa sì che solo le città che «sono sulla mappa» hanno un futuro.

Se Letizia Moratti voleva che il suo quinquennio (o, se lo vorrà, decennio) fosse ricordato come quello del colpo di reni della città, ha puntato sulla carta giusta. Ma, per il momento, in attesa del 31 marzo, non ci rimane che tenere le dita incrociate.

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