L’igiene orale può evitare gravi conseguenze

È una malattia subdola, che, dopo i 40 anni, colpisce in maniera più o meno accentuata, gran parte della popolazione: «Col termine di malattia parodontale si intendono diverse affezioni del parodonto, cioè del tessuto che circonda il dente (gengiva aderente, legamento parodontale, cemento radicolare, osso alveolare)», affermano i dottori Gregorio e Vittorio Redaelli, specialisti in odontoiatria e protesi dentaria ad Arese, Milano (www.st-redaelli.it). «All’origine è, sostanzialmente, l’accumulo di placca batterica che, a lungo andare, può determinare una gengivite irreversibile».
Molteplici i sintomi: alito cattivo, sanguinamento delle gengive, sensazione, nel chiudere la bocca, che il posizionamento dei denti non sia più lo stesso (guardandosi allo specchio, capita di notare un certo sventagliamento degli incisivi superiori, oppure l’apertura di spazi interdentali che prima non c’erano).
La tempestività della diagnosi è fondamentale per evitare l’aggravarsi della situazione. «La terapia prevede sedute di igiene per la rimozione del tartaro e trattamenti di “courettage”, in alcuni casi interventi di correzione chirurgica del tessuto paradontale danneggiato (arretramento della gengiva, formazione di “tasche” gengivali, riassorbimento osseo)», spiega lo specialista. Nelle forme più accentuate, la stabilità dei denti è, talvolta, compromessa da rendere necessaria l’estrazione anche di denti sani. In questi casi, l’implantologia è oggi sempre più proposta tra le possibilità terapeutiche: «Svolgendo il ruolo di una radice alternativa, gli impianti - realizzati in titanio, un materiale altamente bio-compatibile - costituiscono la base su cui “costruire” un nuovo dente, andando così a sostituire gli elementi mancanti», spiega il dottor Vittorio Redaelli. «Naturalmente, sarà necessario effettuare prima un’operazione che noi tecnici definiamo di “bonifica” del cavo orale. È indispensabile, infatti, che le condizioni del parodonto siano giudicate ottimali per garantire la stabilità dell’impianto».
E qualora ad ostacolare il posizionamento dell’impianto fosse un’insufficienza dell’osso?
«Ormai anche questo è un problema risolvibile. Dopo aver analizzato con precisione la situazione attraverso specifici esami radiologici per valutare la quantità di tessuto osseo da reintegrare, si può ricorrere a una metodica di rigenerazione ossea». Oggi è possibile l’utilizzo di materiali diversi, a seconda del grado di atrofia del tessuto: si va dall’osso asportato al paziente stesso (anche in diversa sede rispetto al cavo orale), a tessuti di origine animale, alla possibilità di prelievo dalla cosiddetta banca dell’osso.


«Anche quelle persone che hanno una quantità di osso veramente scarsa, possono tornare a sorridere senza problemi», commenta il dottor Redaelli sottolineando i passi avanti compiuti dall’ortodonzia che in questi ultimi anni ha raggiunto traguardi impensabili pochi anni orsono.

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