Politica

«Per l’immagine di Israele questa strage è un disastro

Gian Micalessin

da Haifa

«L'incidente di Cana non può essere definito un massacro. Un massacro implica sempre l'intenzionalità. Israele poteva volere tutto, ma non un disastro di questo tipo. Io dovendo scegliere una parola lo chiamerei proprio così: un disastro».
Il professor Joseph Uri Bar, docente di Scienze politiche all'Università di Haifa ed autore di testi come Due minuti sopra Bagdad, dedicato alla distruzione del reattore iracheno di Osirak nel 1981 e Quando la sentinella si addormento, incentrato sulla guerra dello Yom Kippur, è uno dei massimi esperti israeliani d'intelligence, affari militari e geopolitica. Dal suo punto di vista il massacro di Cana è la diretta conseguenza della strategia utilizzata da Hezbollah per contrapporsi alla macchina militare israeliana.
«Hezbollah utilizza una strategia semplice, ma allo stesso tempo politicamente sofisticata. Utilizzando i civili come scudo sa comunque di poter vincere. Se Israele decide di non reagire per evitare disastri come quelli di Qana allora Hezbollah riscuote un successo perché può continuare a colpire indisturbato le nostre città. Se Israele reagisce colpendo degli innocenti si ritrova sotto accusa e viene condannato dalla comunità internazionale. Grazie a questa strategia e all'uso spregiudicato dei civili Hezbollah si ritrova a vincere in ogni caso».
La vostra immagine in queste ore sembra molto indebolita, quali saranno le conseguenze politiche e militari di questo «disastro»?
«Ovviamente aumenteranno le pressioni per un immediato cessate il fuoco. Questo potrebbe costringerci ad alleviare la pressione militare e favorire Hezbollah. Stati Uniti e Israele reagiranno cercando di guadagnare tempo e posporre qualsiasi negoziato fino a quando le conseguenze di questo disastro saranno più sfumate. Cercheranno di rimandare di almeno due o tre giorni o forse anche una settimana, qualsiasi decisione».
Per Hezbollah anche il vostro ritiro da Beit Jbeil è un trionfo.
«Quella è stata una decisione presa proprio per evitare situazioni come quella di Cana. Avremmo potuto spianare il villaggio e dichiarare vittoria, ma non l'abbiamo fatto. Una seconda soluzione era ripulire Beit Jbeil casa per casa, ma questo avrebbe implicato un costo in vite umane molto alto. La terza soluzione era tenere lì i soldati esponendoli a nuovi attacchi di Hezbollah. Il nostro esercito ha invece scelto di distruggere una parte delle loro infrastrutture e ritirarsi. Ovviamente Nasrallah ha subito detto di aver vinto, ma questo ha poco che fare con la realtà dal punto di vista militare».
Pensate veramente di poter vincere questa guerra?
«I primi giorni del conflitto sono passati. Subito dopo il rapimento dei nostri due soldati tutti promettevano di distruggere Hezbollah. Quella fase è già terminata, quelle erano dichiarazioni ad effetto a puro scopo televisivo. Chi le rilasciava dimenticava che Hezbollah è un autentico movimento politico religioso ben radicato sul territorio libanese. Non è possibile distruggerli senza conquistare l'intero Libano e anche in quel caso l'obbiettivo potrebbe risultare irraggiungibile. Al 18mo giorno di guerra l'obbiettivo è molto più limitato, cioè la creazione di una zona cuscinetto per permettere l'arrivo di una forza internazionale. L'unico mezzo per risolvere questo conflitto d'ora in poi è la via politica non quella militare».
Trattando con chi?
«Con la Siria. La chiave di questo problema ma anche di quello palestinese sono le alture del Golan. Se negozieremo una soluzione Damasco smetterà di appoggiare Hezbollah, di influenzare la politica libanese e di utilizzare alcune parti del movimento palestinese contro di noi».
Quindi la guerra è un errore?
«No, tutt'altro. Israele ne beneficerà nel lungo periodo. Nei prossimi anni Hezbollah non oserà più condurre azioni simili per timore delle nostre reazioni e dovrà anche fare i conti con la popolazione libanese che gli chiederà conto delle sue azioni. Oggi tutti sembrano stare con Hezbollah ma con il tempo la gente comincerà a chiedersi di chi sia stata la vera responsabilità e Hezbollah ne pagherà le conseguenze
Il Libano dopo il ritiro della Siria sembrava l'unica rivoluzione riuscita in Medioriente, l'unico germoglio di democrazia. Gli americani potrebbero accusarvi di aver distrutto l'unico loro successo.
«Parlare di successo mi sembra fuori luogo. In Libano non esisteva un potere centrale, non esisteva un esercito in grado di controllare il proprio territorio, le regioni meridionali erano uno stato nello stato controllato da Hezbollah. Le democrazie non funzionano così. Permettere quella situazione è stato il grosso errore americano ed europeo. Da questo punto di vista la nostra azione potrebbe anche tradursi in un beneficio politico. Tra un anno Hezbollah potrebbe essere molto più debole e il governo centrale molto più forte. Quella potrebbe essere la condizione migliore per far nascere un'autentica democrazia».
Lei parla di negoziati ma qualcuno teme una guerra con la Siria. E' un rischio autentico?
«Dal punto di vista puramente militare Damasco è debolissima. Il suo esercito è assolutamente inferiore a Tsahal e la nostra aviazione potrebbe distruggere in meno di un'ora. Il problema sono i missili e le armi chimiche nascosti nei loro arsenali. Lo scontro potrebbe tradursi in uno scambio di missili con danni immensi per entrambe le parti.

Gli israeliani non hanno nulla da guadagnarci per questo ritengo che le assicurazioni inoltrate a Damasco dal nostro ministro della Difesa siano assolutamente sincere e credibili».

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