L’industria batte la crisi: Arvedi rinnova il prodotto e assume 750 persone

nostro inviato a Cremona

La Grande depressione dalla quale l’economia mondiale sta faticosamente cercando di uscire ha fatto emergere, ancora una volta, il primato dell’industria sulla finanza. Se l’Italia e la Germania hanno retto la pressione della crisi meglio di altri Paesi, ciò è infatti dovuto in gran parte alla solida struttura manifatturiera delle due economie, fatta d’acciaio più che di carta (nel senso effimero del termine).
Proprio l’acciaio offre oggi un esempio che è la sintesi dell’«orgoglio del fare»: il gruppo Arvedi di Cremona ha portato a regime un impianto rivoluzionario nel mondo della siderurgia che è stato presentato ieri alla comunità internazionale del settore. Si tratta di una linea di produzione di bobine di lamiera (coils) che dal rottame, senza soluzioni di continuità, porta al prodotto finito: un «treno» lungo 170 metri durante i quali la materia prima, a 1.500 gradi, in colata continua, si trasforma in rotoli di nastro d’acciaio che poi prenderanno la via dell’industria, principalmente dell’auto e degli elettrodomestici. Questo impianto unico al mondo, progettato all’interno del gruppo e realizzato dalla Siemens Vai, protetto da 460 brevetti, offre una serie di innovazioni rivoluzionarie: oggi si produce in un’ora quello che in precedenza veniva realizzato in settimane, grazie a una linea unica che sostituisce un processo suddiviso in due distinti stabilimenti; la flessibilità che ne deriva permette di soddisfare la domanda in tempo reale, rispondendo all’esigenza del just in time delle aziende clienti e permettendo di alleggerire al massimo i magazzini (necessità molto sentita in tempi di crisi e di volatilità dei mercati); per la prima volta è stata ottenuta la laminazione a caldo di nastri d’acciaio dello spessore di 0,8 millimetri, molto richiesto dal mercato (prima venivano realizzati a freddo, attraverso un’ulteriore lavorazione). Tutto questo offre sbocchi di mercato nuovi e competitivi, con un risparmio sui costi energetici e sul processo complessivo valutabile intorno al 30%, e parte di questo risultato viene «girato» alla clientela.
L’impianto è costato 500 milioni, 300 finanziati con mezzi propri e 200 con un finanziamento a otto anni di un pool di banche. «Il 2007 e il 2008 sono stati anni molto buoni che ci hanno permesso di mettere fieno in cascina», ha spiegato il presidente del gruppo, Giovanni Arvedi. «Abbiamo intuito in tempo che il 2009 e il 2010 sarebbero stati anni critici e abbiamo puntato sull’innovazione e su nuovi mercati». Il gruppo (1,4 miliardi di fatturato e 132 miliardi di Mol nel 2008) è riuscito lo scorso anno, ancor prima quindi di portare a regime il nuovo impianto, a espandersi soprattutto nel Medio Oriente («è un grande errore dell’Europa lasciare che Paesi così ricchi orbitino soltanto sotto l’influenza asiatica»). I risultati sono stati di rilievo: «Abbiamo lavorato al 100% delle nostre capacità, quando tutti i nostri concorrenti nel mondo occidentale non hanno superato il 50%. La redditività è stata in linea con l’esercizio precedente. Non abbiamo né licenziato né utilizzato cassa integrazione, e per la nuova linea abbiamo assunto 600 persone e ne assumeremo altre 150».


Pur lamentando una volatilità dei prezzi delle materie prime provocati soprattutto dalla speculazione («di nichel, zinco e altri metalli si scambiano sui mercati quantità anche 20 volte superiori ai reali consumi dell’industria: una situazione difficile da gestire») Arvedi vede positivamente i prossimi anni: «Nel mondo occidentale i consumi sono di 500 chilogrammi per abitante: in Cina la metà, in India un quarto. Vuol dire che le potenzialità sono ancora enormi, su mercati da miliardi di persone. L’acciaio è tutt’altro che un prodotto maturo: anzi, un Paese moderno si identifica nei consumi di acciaio».

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