Uno si chiama Emil, 13 anni appena. Ma per lui bisogna usare un tragico tempo passato. Si chiamava, aveva... È morto. È morto laltra notte in quella che da qualche settimana era la sua nuova casa. Una baracca di legno attaccata con lo scotch e quattro chiodi tra i prati della periferia milanese. Era un zingaro Emil.
Kalì ha la sua stessa età, porta il nome di una divinità affascinante e terribile: quella con i teschi per collana e quattro braccia «giustiziere». Anche lei è una rom. Dicono che labbiano chiamata così per via delle sue straordinarie capacità ladresche. Riesce a intrufolarsi ovunque e razzia a velocità supersonica. Come se di mani ne avesse davvero quattro. Kalì è viva. Ma non si sa dove. La sua famiglia lha venduta, 200mila euro il prezzo. Dicono che la ragazzina quei soldi li valga tutti, che basti qualche mese del suo «lavoro» per ammortizzare il costo. Se lè comprata una banda di nomadi errante per lEuropa a caccia di bottini.
Emil e Kalì, due storie di infanzia stuprata, di bambini dimenticati, di diritti violati. Con vite finite prima di cominciare, sempre sullorlo del precipizio, non solo per il gelo, la fame o i tetti da scalare. Linferno di essere rom bambini.
Così lesistenza randagia di Emil si è «spenta» nel fuoco acceso dal padre per proteggerlo dal freddo di un inverno che non vuol saperne di finire. Lo scenario è sempre quello, identico nel suo immemore squallore: un campo abusivo alla periferia della metropoli. Venticinque baracche, sparse in un fazzoletto di terra laddove finiscono i casermoni. Erano in otto in quella casupola di compensato: Emil, padre, madre fratelli e sorelle. Arrivano dalla Romania. E dormivano quando le fiamme hanno cominciato a divorare laria. Si sono salvati tutti, ma non lui. I grandi hanno portato fuori i più piccoli, solo alla fine si sono accorti che ne mancava uno. Lui, il tredicenne. I vigili del fuoco hanno trovato i suoi resti irriconoscibili mischiati alla cenere. Aveva una gamba rotta. «Ci scaldiamo come possiamo - racconta uno di loro col volto annerito -, chi con le bombole chi con stufe a legna». E proprio da una di queste, a quanto pare caricata con troppi ceppi - secondo gli investigatori- sarebbe divampato il rogo.
Le polemiche del giorno dopo recitano un copione antico, drammatico, sempre irrisolto. Colpa delle istituzioni, degli sgomberi forzati, di unassistenza precaria? O il contrario? Della demagogia, del buonismo peloso, del far finta di non vedere?
A Trieste, intanto, almeno la polizia cerca Kalì. Tre croati sono finiti in manette. Le accuse: acquisto e alienazione di schiavi. Una quarta persona, la madre della bimba, è ricercata in campo internazionale.
Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dalla Squadra Mobile, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo giuliano, la zingarella sarebbe stata venduta lo scorso anno dai genitori a due connazionali residenti in provincia di Padova. «Quei 200mila euro sono la dote pagata dal marito di Kalì per sposarla», si è giustificato un parente. Da noi la legge funziona diversamente. Tre dei quattro protagonisti della storiaccia sono stati rinchiusi in carcere e rischiano una condanna ad oltre venti anni, mentre la mamma della tredicenne è ricercata su mandato di cattura europeo emesso dalla Procura della Repubblica di Trieste.
Dove sia Kalì, però, non si sa. Qualcuno racconta di averla vista in qualche roulotte che gira per la Francia. Prigioniera di un contratto da ladra.
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