L’insaccato che viene dal freddo per riscaldare il cuore e il palato

La Sraria è un piatto la cui storia si perde nel tempo. Nel dialetto parlato nella val Bormida vuol dire gelo, freddo, e anche per questo si prepara nei mesi invernali. Per ottenere una «sraria» nel giusto spirito della tradizione, si utilizzano parti del maiale meno nobili come la testa disossata, la lingua, gli zampini, il cuore; per ingentilire il piatto ed ottenere una buona gelatina si aggiungono delle costine di magro e di parti del pollo o del cappone. Le carni di maiale vanno trattate per essere sgrassate; la prima bollitura di circa due ore serve per pulire le carni dal sangue e farle sgrassare, e per facilitare la pulizia si cambia l'acqua varie volte, poi quando i pezzi sono ben puliti e il grasso è molto ridotto si fanno ribollire per circa 5 ore con l'aggiunta di cipolle infilzate con chiodi di garofano, sedano, carote, alloro e poco sale. A fine cottura le carni si spezzettano bene, poi si avvolgono in un asciugamano di tela e si mettono a scolare. Questo bollito si usa anche metterlo in uno stampo rettangolare in legno o in metallo e pressato da un peso per fare spurgare il brodo e rendere l'insieme delle carni ben solide ed omogenee.

Dopo qualche giorno l'impasto di carne si toglie dalla cassetta o dal panno, si taglia a fette e si rimette nel brodo di ultima bollitura; passata qualche ora di assestamento, si forma una gelatina che contorna tutta la carne. A questo punto il piatto è pronto per essere servito in tavola con l'aggiunta di un contorno di verdure di stagione o sottaceti e salse piccanti.

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