L’INTERVENTO

Caro direttore, mi preme sottolineare taluni distinguo ai commenti e agli articoli pubblicati dal suo quotidiano sul caso di Eluana. La legge in vigore nella Repubblica italiana cosa dice in materia di malati terminali? La legge n. 587 del 29 dicembre del 1993 dice che non basta la morte cerebrale per staccare le spine, occorre che si verifichi la «cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo». Il giudice italiano deve applicare la norma e non certo, diversamente della giurisprudenza inglese, inventarne fantasiose interpretazioni. Eluana non si trova nelle condizioni di una malata terminale, la ragazza che la Corte d'appello di Milano ha condannato alla morte per inedia, ha bisogno di nutrimento e abbeveramento via flebo. Nessuna macchina e nessun destino alla morte segnato anticipatamente dalla malattia... Però l'Italia lotta per evitare la morte a Caino. La sentenza di Milano è riuscita laddove i cultori dei «testamenti» non erano riusciti, dal 25 giugno ottenere giustizia sarà un terno al lotto. Una fortuna, come diceva Oriana Fallaci, «regalataci dalla sorte che ci impone un giudice anziché un altro, un cavillo anziché un altro, una giuria anziché un'altra. Se mi sbaglio, se la Legge significa davvero Giustizia, Equità, Imparzialità, me lo si dimostri incriminando i magistrati».
Il ministro Alfano si appelli contro la sentenza. Se il giudice è tenuto solo ad applicare le leggi, il medico è tenuto a valutare solo se le cure siano sproporzionate o futili perché non destinate a recare alcun beneficio. E il beneficio della vita di Eluana lo si interrompe con il distacco, autorizzato da un organo dello Stato, delle flebo. La vita di Eluana è vita e il soffio della sua vita scomparirà solo per responsabilità, assolutamente illegale, dei magistrati. L'incoscienza non sarebbe vita? L'Alzheimer non sarebbe vita? Lasciamo perdere quel pietismo con il quale si vuol mascherare, oggi come ai tempi degli inventori della religione universale dell'eutanasia, sir Galton o il dottor Saleeby, la morte altrui perché esito di una vita «inadatta». La sentenza del 25 giugno scorso è inquietante. Si affermano volontà di Eluana pro morte, si giustifica la volontà di «assecondare l'esito naturale e non già consegnarsi al lungo trascorrere di una vita solo organica e apparente, senza più contatti con il mondo esterno e senza possibilità di vivere coscientemente e pienamente la propria esistenza». Eppure Eluana ogni mattina si sveglia, sogna, apre gli occhi e certamente cercherà di aggrapparsi, come fece Terry Schiavo, alla vita sino all'ultimo respiro, sino all'ultima energia prima di morire di fame e di sete.

Nessuno ha considerato i dati e le percentuali del «risveglio» di pazienti non terminali come Eluana, nessuno sembra chiedersi a quale diritto ci si richiami nello stabilire «che una vita sia degna o meno di essere vissuta». La vita si misura sull'utilità o sull'essenza? Uccidere Eluana dimostra due cose: l'affermarsi di un «diritto storto» e l'uso inadatto della ragione da parte di chi è felice per la morte.
*deputato dell’Udc

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