L’intervento di Berlusconi ai Promotori della libertà

RomaAvanti tutta. Se mai ce ne fosse stato bisogno, Silvio Berlusconi decide di mettere nero su bianco che sulla giustizia non si scherza. Si andrà avanti davvero, non solo perché ormai «è arrivato il momento» di mettere mano ad una riforma che è in agenda dal 1994» ma anche perché «tra tutte le dittature la peggiore è quella dei giudici». Sono queste le parole che usa il Cavaliere, citando Alexis de Tocqueville, in una lettera inviata al sito dei Promotori della libertà di Michela Vittoria Brambilla. Un affondo che porta in chiaro un muro contro muro dal quale difficilmente se ne potrà uscire dopo che la procura di Milano ha dato il via all’inchiesta Ruby. Per il premier, non è un mistero, i metodi investigativi utilizzati (il fatto che la sua residenza privata di Arcore sia stata sotto controllo per quasi un anno) nonché il capo d’accusa (prostituzione minorile) sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come ha fatto notare più d’una volta in privato Giulio Tremonti, infatti, «questa volta non si parla di concussione o corruzione ma di un reato universalmente comprensibile». Insomma, seppure in un equilibrio precario e spesso conflittuale, con l’inchiesta sulla giovane marocchina - e con il mare di intercettazioni casualmente finite su tutti i giornali - qualcosa si è definitivamente rotto.
Tanto che Berlusconi non esita ad evocare la «dittatura dei giudici» e lo «strapotere delle correnti politicizzate della magistratura» che «hanno trasformato il Csm in una specie di terza Camera politica» sempre «pronta a criticare il Parlamento» e a «intervenire addirittura con commenti sulle leggi in discussione alle Camere». E non è un caso che l’affondo del capo del governo arrivi proprio nel giorno del «C-day», con i «difensori» della Costituzione a manifestare contro l’annunciata riforma della giustizia. Secondo il Cavaliere, infatti, il fatto che in piazza vi fossero anche dei magistrati (come Antonio Ingroia) non è che la conferma che poco è cambiato rispetto ai tempi di Tangentopoli, quando nel 1994 furono i pm del pool di Milano a «costringere» il governo a ritirare il decreto Biondi. Come ripete in privato da giorni Berlusconi, insomma, «siamo ancora un Paese a sovranità limitata» dove «pochi pm detengono il potere».
Ecco perché Berlusconi non molla la presa, tanto - non è un segreto - dall’essere deciso a giocare sull’eventuale referendum confermativo della riforma anche un’eventuale campagna elettorale nel 2012 o nel 2013 (se non si raggiungerà la maggioranza di due terzi in Parlamento è scontato che si andrà alla consultazione popolare). In privato l’ha detto più d’una volta e pure il ministro Alfano l’ha lasciato intendere. D’altra parte, spiega il premier, «l’equilibrio tra accusa e difesa non c’è più e non c’era più da tempo» con «la bilancia della giustizia» che «pende senza eccezioni dalla parte dell’accusa a svantaggio dei cittadini» tanto che «non è davvero un caso se la fiducia nella giustizia sia ormai a zero».
Insomma, dice nel messaggio ai Promotori, «con questa riforma cercheremo di evitare che questo accada e voi dovete darci una mano per spiegarlo a tutti gli italiani». Anche perché, aggiunge Berlusconi, «è rivolta a creare le condizioni per restituire ai cittadini la fiducia in un servizio fondamentale dello Stato quale deve essere la giustizia giusta, che si ottiene attraverso un giusto processo, il processo dove l’accusa e la difesa sono poste sullo stesso piano».
Ce n’è anche per il presidente della Camera.

Perché dal 1994 la volontà era quella di mettere mano a una riforma della giustizia «ma i nostri sforzi sono stati puntualmente vanificati perché una componente della maggioranza, Fini e i suoi, sono rimasti giustizialisti e statalisti e si sono messi sempre di traverso in accordo esplicito delle correnti si sinistra della magistratura».

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