Stefano Filippi
da Milano
Gianfranco Fini si accende l'ennesima sigaretta, aspira, soffia, sospira: dopo la finanziaria ogni tirata gli costerà il dieci per cento in più. «Un po' di prezzemolino» sorride il presidente di Alleanza nazionale. Il ritocco ai tabacchi non manca mai, in nessuna finanziaria.
Almeno Prodi ci ha risparmiato l'aumento della benzina...
«Il giudizio sulla finanziaria è totalmente negativo. Essa parte dal presupposto dichiarato da Rifondazione di far piangere i ricchi. Che per loro sono la borghesia, il ceto medio: professionisti, commercianti, piccoli imprenditori, cioè tutti coloro per i quali la sinistra radicale usa l'epiteto di padroni o nemici di classe. Come se non bastasse, non è vero che gli impiegati o gli operai avranno un vantaggio dalla riduzione delle aliquote, perché con una mano il governo dà e con l'altra toglie. Ticket sanitari, imposte comunali, addizionali regionali, revisione degli estimi catastali e quindi stangata Ici sulla casa, e via di questo passo. Questa finanziaria dimostra che Prodi è come Pinocchio: dice le bugie. Aveva detto sul suo nome in più di un'occasione, in particolare nel faccia a faccia televisivo con Berlusconi, che in ogni caso non avrebbero ritoccato le aliquote. E se, come ha detto Visco, si tratta di aggravi fiscali attorno ai 40mila euro, altro che ricchi».
Però il governo ha tagliato il cuneo fiscale.
«A parte il fatto che la riduzione è spalmata in due anni, anche qui con una mano danno e con l'altra tolgono. Le imprese non hanno nulla per essere soddisfatte. Obbligarle a versare il 65 per cento del Tfr all'Inps significa togliere loro liquidità. Contro questa finanziaria l'opposizione ha il dovere di impegnarsi. A Berlusconi, Casini e Bossi ho proposto di valutare se organizzare una grande manifestazione di piazza al nord, che paga forse più di altre regioni. Qualcuno a sinistra un po' più intelligente ha già detto: al nord non vinceremo mai più».
Il caso Telecom è chiuso con le parole di Prodi alla Camera?
«Come ho detto in Parlamento, è una vicenda sulla quale il presidente del Consiglio doveva fare chiarezza e non l'ha fatto. Pensare che il cosiddetto piano Rovati fosse farina esclusivamente del sacco del suo consigliere, significa credere alle favole. Basta leggere la stampa internazionale per capire che l'interventismo pasticcione e dirigista di Palazzo Chigi ha danneggiato la credibilità internazionale dell'Italia».
Come spiega che le critiche dei giornali stranieri al premier non finiscono più sulle nostre prime pagine, al contrario di quando martellavano Berlusconi?
«La sinistra ha una capacità di propaganda e di alterazione della verità fantastica. Sono dei maestri di disinformazione persino nel lessico: oggi parlano di “rimodulazione della spesa”, quando governavamo noi dicevano “tagli selvaggi” e “macelleria sociale”».
Contento che Silvia Baraldini sia libera?
«È un'altra dimostrazione del fatto che in Italia non esiste certezza della pena. Che avevano ragione gli americani quando non si fidavano. Va ricordato che Diliberto, che all'epoca era ministro di Grazia e giustizia, si era impegnato (perché altrimenti gli americani non avrebbero concesso l'estradizione) per far sì che scontasse tutta intera la pena, e non è accaduto. Non è accaduto soprattutto per quella sciagurata legge sull'indulto, che An è orgogliosa di non avere votato, che purtroppo ha rimesso in libertà tanti delinquenti, che guarda caso in molte circostanze dopo pochi giorni o poche settimane sono tornati in galera per altri reati».
Piero Fassino dice che nei cinque anni del vostro governo i detenuti sono saliti da 40mila a 60mila per colpa delle leggi sulla droga e sull'immigrazione. Quelle volute da lei.
«Sulla droga dice una sciocchezza clamorosa perché la legge prevede il carcere non per il tossicodipendente ma per lo spacciatore, che se è anche tossicodipendente può scegliere in alternativa di andare in una comunità di recupero: sfido Fassino a dire che uno spacciatore che rifiuta la comunità non debba andare in cella. Quanto agli immigrati, in Italia non si entra in prigione se si è clandestini, ma se si delinque. L'aumento dei detenuti clandestini che delinquono rientra nel più ampio problema della lotta all'immigrazione clandestina».
È disposto a modificare la sua legge?
«Il centrosinistra sta facendo una politica che favorisce l'immigrazione clandestina, non la contrasta di certo. E mi dispiace che anche il ministro Amato, che pure stimo, non si renda conto di quanto sia pericoloso dire: diamo i soldi ai clandestini perché se ne vadano. È un incentivo a farne arrivare qui migliaia e migliaia, visto che ricevono pure i denari. Fa il paio con la bizzarra proposta di un altro ministro, Ferrero, che voleva pagare il traghetto ai clandestini per evitare la tratta degli schiavi. Se non ci fosse da indignarsi, ci sarebbe da ridere».
Vuol dire che la legge Bossi-Fini non va toccata?
«Va assolutamente salvaguardato il pilastro, cioè che si sta in Italia con il permesso di soggiorno unicamente se si possiede un contratto di lavoro, non se si cerca lavoro, che è cosa del tutto diversa. Il punto debole della legge, anche per responsabilità di alcune Procure della Repubblica e di alcune interpretazioni che ha dato la suprema Corte, è il procedimento di espulsione: difficile rimpatriare il clandestino se si ignora la provenienza. Oggi modificherei anch'io la legge per rendere più efficace questo meccanismo».
Due partiti del centrodestra su quattro hanno detto che la Casa delle libertà è un'esperienza chiusa. E per lei?
«Io invito tutti a riflettere su una cosa. L'elettore che ha votato uno dei quattro partiti della Cdl chiede una sola cosa a me, a Casini, Berlusconi e Bossi: state insieme e cercate di far durare Prodi il meno possibile. Tutto quello che appartiene ai distinguo, alle strategie dei singoli partiti è lecito, ma non possiamo dare l'impressione di essere divisi nello stesso momento in cui Prodi è così debole e al tempo stesso così impopolare. Se fossimo più compatti e anche più determinati otterremmo forse il risultato di farlo cadere. Non possiamo essere come i polli di Renzo che si beccavano tra loro».
Scommetterebbe sulla caduta in tempi brevi dell'esecutivo?
«Proprio perché è molto debole, il governo Prodi rischia di durare, che è uno dei grandi paradossi italiani, perché la sinistra sa perfettamente che se cade non governa mai più. Quindi con molti compromessi e magari molte ipocrisie tenteranno di durare. A meno che qualche esponente del centrosinistra più moderato si renda conto che Prodi è il megafono della sinistra più radicale, e abbia un soprassalto di dignità, un po' di coerenza e di coscienza. Al Senato hanno un voto, massimo due: il governo può cadere anche domani».
Il centrodestra in questo momento è pronto per tornare al governo?
«Non si tratta di essere pronti o meno: se cade questo governo si deve tornare al voto, dopodiché decidono gli italiani».
E lei è sicuro che il centrodestra vincerà?
«C'è un consenso popolare molto forte. Abbiamo perso per 20mila voti, rappresentiamo già il 49,99 per cento degli italiani, basta davvero poco... E moltissimi elettori del centrosinistra si sono già pentiti».
Da ex ministro degli Esteri, come giudica Massimo D'Alema?
«Dinamico, e questo è un fatto positivo, ma anch'egli obbligato a una politica che volendo marcare a ogni costo la cosiddetta discontinuità con il governo Berlusconi ha delle brutte scivolate. Il caso più clamoroso è la passeggiata di Beirut a braccetto con il ministro hezbollah».
Stefano Filippi
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