L’INTERVISTA IRENE PIVETTI

RomaPresidente Pivetti? Suor Irene? Cara collega? Signora show girl? Dark lady? Egregio consulente? Signora lobbista? Come diavolo chiamarla? Taglio corto: cara signora Zelig...
«Questo lo trovo vagamente offensivo... Anche se devo ammettere che Zelig è uno dei film che mi ha fatto ridere fino alle lacrime».
Offensivo? Magari è lei un po’ troppo trasformista.
«Dico che a essersi traformate sono le condizioni di vita, non io. Ho il senso della realtà: se sei un’istituzione vivente, ti vesti da istituzione vivente».
Alla Camera era dura.
«Ero integerrima, lo ammetto. Ma sono così, è il mio carattere. Vivo le mie esperienze fino in fondo. Vorrei vedere, se a 31 anni le avessero dato un incarico che fa tremare i polsi a quelli di 60».
Ma se dopo aver rotto i timpani come Giovanna D’Arco da Pontida, uno poi se la ritrova in tv a sgambettare...
«No, questa storia della tv è enfatizzata. Ho fatto programmi egregi, calandomi nella parte».
Appunto. Anzi, a tal punto, che s’è ritrovata con Platinette.
«Quello era “Bisturi”, mi ero rasata perché mi piaceva. Sottovalutando forse che poteva far notizia...».
Giocava a scandalizzare.
«Non ci giocavo. Magari ho la presunzione di non voler spiegare nulla delle mie scelte, e questo spesso è un errore».
C’è gusto a far mostrare tette rifatte?
«Non mi tocchi “Bisturi”! È stato un programma su un fenomeno estetico ed economico rilevante. Innovativo e interessante: forse l’irritazione nasceva da un riflesso classista. Se la divetta si rifà il seno si sorride, se il panettiere si rifà il naso offende».
Magari era un po’ assurda l’accoppiata con Platinette (con tutto il rispetto per l’uomo Coruzzi).
«Platinette è un’ottima persona, una persona di grande equilibrio. Persino più bacchettone di me».
Trasecolo: bacchettona?
«Non sono granché cambiata, sono solo più matura e dunque è cambiato il modo di esprimermi. Allora, per affermare i miei principi, finivo per prendermela con quelli degli altri. Ora no, ma resto grata al cattolicesimo e considero la Vandea una delle più preziose prove di fede dell’umanità».
Cambia l’abito, non la monaca.
«È che non sono ipocrita. Per semplicità, non voglio usare il termine umiltà, accetto quello che faccio assieme alla forma che si deve. Ho interpretato la pompa dell’istituzione, non potevo restare monumento nazionale».
Lei ha deprecato la mancanza di decoro in politica. Non crede che vada mantenuto anche dopo?
«Allora dico che qualcuno doveva provvedere a me in qualche maniera. Invece, dopo la Camera, mi pago il pane lavorando. Questo non vuol dire che non sia onorata di aver servito lo Stato».
Quel servizio lo pagheremo ancora. Otto-novemila euro il mese, occhio e croce.
«L’avrò tra cinque anni, e si tratta della metà, dopo 11 anni di politica. Ho dato il sangue, non ho autoblu né privilegi...».
...Un ufficio in pieno centro.
«Un ufficio e una segretaria, come tutti coloro che sono stati presidenti della Camera. Forse mi si addita perché non sono un maschio adulto e vaccinato».
Nessuno la addita. Ma non poteva continuare a fare politica?
«Quell’epoca era terminata, anche le rivoluzioni finiscono».
In verità litigò con Bossi.
«Fui cacciata per non aver accettato la secessione, nessuno lo dice. Ho sofferto, ne avrei fatto volentieri a meno. Sopravvivo...».
Pensa di tornarci, in politica?
«Non ho nostalgia. Ma ora mi adopero su temi sociali. Ho una fondazione di consulenza per società non profit: “learn to be free”».
Persino consulente.
«Dieci anni fa, mi assunse Claudio Velardi nella sua società, Reti. Poi l’ho fatto per conto mio».
Lo fa ancora?
«Faccio lobbing a Bruxelles».
Si guadagna un buon pane.
«È un problema? Ringrazio il Signore per quello che mi dà».


Non pensa che ci sia conflitto d’interesse, tra l’attività di lobbista e quella di giornalista a Odeon tv?
«Sto molto attenta a questo aspetto. Per favore, fatemi l’esame del sangue, passate al microscopio quello che faccio... Sfido a trovare una sola norma violata».

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