L’INTERVISTA MELISSA P.

Quando uscì Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire (Fazi editore) dovette far fronte a critiche di ogni genere: per il contenuto scabroso (una sedicenne narrava i suoi accoppiamenti pochissimo giudiziosi con uomini più anziani), per lo stile («L’ha scritto lei? L’ha messo insieme un editor?»), per «tentata (e riuscita) operazione commerciale» (è tuttora distribuito in 42 nazioni), infine per lesa letteratura (ma questa accusa le arrivò solo da qualche critico snob a corto di idee: il romanzo non voleva certo «fare letteratura»).
Poi Melissa P. pubblicò un secondo libro, L’odore del tuo respiro, che non destò altrettanta eco, e poi ancora una lettera aperta a Camillo Ruini, In nome dell’amore. Oggi, sta ultimando il suo terzo romanzo - consegna a ottobre e uscita l’anno prossimo -, una graphic novel e tiene una rubrica sul quotidiano L’Altro di Piero Sansonetti. Per essere nata nel 1985, non male. Ribelle, a guardar la sua storia, un po’ lo è stata, se intendiamo per ribelle qualcuno che attira spontaneamente critiche e insulti (più da parte maschile, in questo caso). Depressa, non sappiamo.
Depressa?
«Insoddisfatta. Una cosa del tutto femminile. Difficile trovare negli uomini questo tipo di insoddisfazione che una donna sente nei confronti degli altri e di se stessa quando si ritrova alle prese col proprio fallimento. Fallimento per una donna è quando non riesce a esprimere se stessa a causa delle convenzioni sociali, della legge, delle pressioni esterne, o anche di una propria incapacità interiore».
E così si ribella.
«Non parlerei di ribellione, ma di tumulto, di inquietudine. Una donna non si pone contro il sistema né si pone fuori di esso».
Cosa fa, invece?
«Tenta di... commuovere il sistema. Si ragiona ancora con termini bianchi o neri, per estremizzazioni, ma questo significa non capire che l’avverbio più importante, per una donna, è “sentimentalmente”. Anche quando deve lottare per la propria libertà».
E che forza la muove?
«La non accettazione di sé. Sa perché le donne diventano passionali? Perché non si accettano. Se una donna ha troppe certezze, troppe risposte, è quasi automatico che non è passionale. Essere passionali, ad ogni modo, non significa essere irresponsabili. Al contrario degli uomini, noi donne non riteniamo il successo professionale un successo tout court, capace di giustificare ogni cosa. È solo una parte della nostra vita. Guardi la Magnani. Grande attrice, grande professionista. Poi aveva questa gelosia che distruggeva tutto».
Ma qualche volta, allora, anche la donna, protettrice di vita per tradizione, distrugge.
«La donna ha conservato un forte istinto animale non solo nella conservazione di sé, ma anche nell’autodistruggersi. Pensiamo a quelle femmine dei felini che combattono con le altre, a rischio della vita, per segnare il proprio territorio, maschi compresi. Partendo da qui, mi permetta un paradosso: le donne non sono animali, ma felini».
Territorio, scontri fisici... È tutto molto maschile.
«Infatti gli uomini ci copiano molto».
Rischio depressione, in questa «lotta»?
«Esiste, è chiaro. Perché c’è il rischio concreto, per le donne di oggi, dell’isolamento. Molto più che in passato, dove erano maggiormente aiutate, e questa è una verità.

Pensi ai figli di recente massacrati dalle loro madri: un fenomeno che è iniziato in pratica negli ultimi vent’anni. L’emancipazione è avvenuta attraverso un percorso del tutto sbagliato: come dire, un percorso non femminile».

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