L’Iran non sopporta più il presidente pasdaran

L’Iran non sopporta più il presidente pasdaran

In apparenza nulla è cambiato. La sua voce anche ieri era quella di sempre. La squillante e onnipresente voce del “presidente pasdaran”, incrollabile nel metter in guardia l’America e nel promettere radiosi futuri nucleari. Da un po’ di tempo nei piani alti della politica iraniana riecheggiano, però, i brontolii del gran padrone, i malumori dei poteri forti coalizzati intorno alla Suprema Guida Alì Khamenei, l’insofferenza delle alte gerarchie esasperate da quel presidente Mahmoud Ahmadinejad eternamente sopra le righe.
Il primo altolà è già risuonato. «I discorsi sul nucleare sono così infarciti di toni offensivi e poco gentili - scriveva un editoriale di Jomhuri-e-Eslami, il quotidiano emanazione del Khamenei pensiero - da far pensare agli interlocutori che vi sia una certa cocciutaggine mentre la grande guida della rivoluzione insegna a intraprendere quella strada con estrema cautela... perché dare pretesti al nemico offrendogli l’opportunità di esercitare pressioni maggiori quando sempre più iraniani ritengono che la politica troppo dura del presidente esponga la nazione a un grave pericolo?».
Per far capire quanto fuori sintonia siano i discorsi del presidente, Jomhuri-e-Eslami liquida senza mezzi termini i toni usati da Ahmadinejad per definire le sanzioni anti iraniane votate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo scorso 23 dicembre. «Quelle risoluzioni sono certamente dolorose per il Paese ed è esagerato considerarle solo pezzi di carta straccia», spiega l’editorialista consigliando al presidente una bella e definitiva sordina sui delicati temi del nucleare. «Qualsiasi argomento ripetuto più del necessario diventa irrilevante e indifferente. Questo è esattamente quanto succede ascoltando gli inutili e incessanti riferimenti alla questione nucleare contenuti nei vostri discorsi».
A scatenare l’insofferenza di Khamenei e a metter fine alle fortune del presidente sarebbe stato proprio il voto di quelle sanzioni «carta straccia». Il pollice verso del Consiglio di Sicurezza, arrivato dopo una doppia débâcle elettorale degli amici e alleati di Ahmadinejad sul fronte interno, ha scatenato la rivincita di quella più razionale e riflessiva cerchia di comando che da sempre considera pericolosa e irresponsabile la politica del presidente. Il dibattito, infiammatosi durante gli ultimi giorni dell’anno, ha convinto la Suprema Guida a rimettere in riga l’incontrollabile presidente. A preoccupare non poco sono anche le disastrose conseguenze dell’improvvisata gestione economica del presidente. Dopo aver fatto i conti per tutto l’anno con i prezzi in continuo aumento, i fedeli arrivati alla Mecca per il pellegrinaggio dell’Haji hanno dovuto far i conti con i rifiuti di molti cambiavalute arabi di fronte agli svalutati rial iraniani. Interpretando la rabbia di molti cittadini, 150 deputati conservatori agitano una petizione che condanna il ritardo senza precedenti nella presentazione della legge finanziaria per il nuovo anno e invita a una programmazione più rigorosa ed energica. «Gli sforzi del governo devono focalizzarsi sul contenimento della spesa e sull’eliminazione della dipendenza dalle entrate petrolifere», notano i firmatari chiedendo la presentazione di un dettagliato rapporto sull’economia del Paese «con particolare attenzione a buchi di bilancio, debiti e inflazione». A preoccupare l’opinione pubblica, far infuriare i deputati e allarmare i poteri forti contribuisce la leggerezza con cui il presidente distribuisce – durante i continui viaggi nel Paese – promesse di intervento finanziario. Promesse che vengono pagate mettendo mano ai proventi del petrolio. «Nonostante i recenti piani di lungo termine l’utilizzo delle entrate petrolifere non è stato ridotto e sembra destinato a salire proprio mentre assistiamo a un preoccupante calo dei prezzi del barile», fa notare Mohammad Khosh Chehreh, un autorevole deputato conservatore trasformatosi in un flagellatore delle politiche presidenziali. E chi tiene gli occhi sull’imminente legge finanziaria non si fa illusioni. «Il bilancio di spesa è destinato a salire del 14 o del 17 per cento», segnala Adel Azar, membro della commissione per la pianificazione finanziaria. A far ulteriormente infuriare i nuovi Catoni iraniani sono le spese pazze dell’ultimo tour sudamericano voluto dal presidente.

Un tour seguito da un codazzo di almeno 120 esponenti di pasdaran e dei servizi segreti durante il quale il generoso presidente ha promesso agli alleati latino americani due miliardi di dollari per controbilanciare la politica Usa nell’America meridionale.

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