La proposta avanzata da Rino Cammilleri di abolire la scuola pubblica, lasciando libero il campo a istituti privati in competizione, a molti sembrerà provocatoria: e senza dubbio lo è. Lidea che spetti allo Stato il compito di educare i giovani è ormai talmente radicata che una simile richiesta può apparire estremista, tanto più che perfino gli studiosi liberali si spingono, in genere, a proporre una concorrenza paritaria tra scuole pubbliche e private. Quanto suggerisce Cammilleri va invece preso sul serio, anche considerando che egli non intende discutere la possibilità di ogni giovane di accedere all'istruzione: una facoltà che verrebbe garantita assegnando a ogni studente un buono-scuola, spendibile nell'istituto di proprio gradimento. Ma egli richiama soprattutto lattenzione su quel principio che da tempo i libertari americani evocano con forza - si pensi agli scritti di Sheldon Richman - quando difendono lesigenza di separare nettamente l'educazione e lo Stato.
Gli argomenti a favore di un sistema d'istruzione interamente privato, nel quale sia pure abolito il valore legale del titolo di studio, sono parecchi: e alcuni piuttosto noti. Se tutte le scuole fossero libere e finanziate dallo Stato sulla base del numero degli iscritti, vi sarebbe una potente spinta a servire al meglio le esigenze delle famiglie. Qualcosa del genere accadeva nellInghilterra di due secoli fa e accade ancora oggi in India, come sottolinea da anni quellinfaticabile promotore delle scuole private che è James Tooley. In un libero mercato educativo, ogni istituito fa a gara per avere i docenti migliori, i quali sono retribuiti in considerazione della preparazione e dell'impegno profuso. Si esce dal mondo delle carte bollate, poiché contano solo i risultati. Ogni insegnante è indotto a dare il massimo e tale esito è ancor più evidente se le scuole possono predisporre autonomi progetti educativi, definendo liberamente programmi e metodi.
Ma cè un altro e più significativo argomento a favore dell'affrancamento dallo Stato del sistema scolastico.
Come Cammilleri sottolinea, la scuola statale è il prodotto di unepoca investita da differenti forme di collettivismo, variamente nazionaliste e socialiste. Tra Ottocento e Novecento quella che si afferma è lesigenza, per le classi politiche, di «integrare» i ceti popolari nello Stato, elaborando una mistica della Patria che possa giustificare la mobilitazione dellintera società in guerre sanguinose e la stessa crescita esponenziale della tassazione. A costruire questa docile e ubbidiente massa di cittadini, contribuenti e soldati darà un fondamentale contributo il controllo delle scuole e la definizione di programmi uniformi. Al contrario, un ordine sociale rispettoso della libertà della persona deve poggiare su un universo educativo pluralista e deve evitare che le istituzioni politiche seguitino a riformulare il progetto platonico di un Potere che dispone dei giovani per plasmarli secondo propri modelli. E non va dimenticato che la scuola è anche e soprattutto ricerca, e in quanto tale deve essere libera.
Per giunta, avere soltanto scuole private significa far sì che leducazione torni ad essere una questione di cui le famiglie devono farsi carico, prestando unattenzione nuova a ciò che viene posto al centro del percorso formativo.
L'ipotesi di abolire la scuola pubblica potrà allora apparire impraticabile (dato il prevalere di logiche statolatriche), ma simpone quale tema «di lungo termine» per chiunque abbia a cuore il futuro della società. Perché è sicuramente unottima cosa che negli scorsi mesi il comune di Roma abbia privatizzato Cinecittà e che negli anni Novanta una quota rilevante dellindustria di Stato sia passata in mani private. Ma l'istruzione dei giovani è più importante della produzione dei panettoni e anche dei cine-panettoni.
Una società libera è incompatibile con l'apparato monolitico dello Stato educatore e chiede invece che sboccino mille fiori diversi.
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