Politica

L’Italia piange due morti e cerca quattro dispersi

Non rispondono in hotel, non le trovano negli ospedali. Gli amici: «Le abbiamo viste comprare collanine al mercato, poi il botto»

nostro inviato

a Sharm El Sheikh

Va di moda coprire la scena del delitto. Sarà che l'han visto fare ai colleghi di Scotland Yard: e la mossa, nella sua moderna asetticità da camera operatoria, è piaciuta un sacco; sarà che magari non si vuol dare soddisfazione ai terroristi, facendogli vedere e rivedere ai telegiornali l'effetto (e misurare la portata balistica) del colpo messo a segno; e sarà anche che si punta a ridurre al minimo l'impatto emotivo che quell'albergo vetrioleggiato dall'esplosione può avere sui turisti attesi per agosto (ma verranno?): resta il fatto che i soldati vestiti di bianco che sorvegliano ciò che resta del Ghazala Gardens hanno completato ieri mattina la «vestizione» del rudere, celandolo alla vista di fotografi, telecamere e curiosi. Naturalmente ciascuno si misura coi mezzi che ha. A Londra, a Tavistock Square, erano teli plastificati bianchi o azzurri, nuovi di zecca. Qui sono grandi federe di cotone color sabbia a righine nere, un po' smandrappati e usaticci. Come se la polizia li avesse rimediati all'ultimo momento, facendoseli prestare dal direttore del «Circo di Alessandria» che li usava per coprire di notte la gabbia dei dromedari.
Le indagini procedono di conseguenza, in linea col carattere spensierato dei luoghi. Un po' a braccio. Anche il bilancio delle vittime subisce bruschi contraccolpi. L'altra sera i morti erano novanta. Ieri mattina erano scesi a 63, più 14 dispersi. Ma in serata, come un barometro guasto, il dato sembrava in risalita. Aumenta sfortunatamente, il numero degli italiani presi nella trappola dei tagliagole islamici. La moglie di Sebastiano Conti, Daniela Maiorana, è stata riconosciuta ieri in serata dalla fede matrimoniale. Poi ci sono i dispersi: il fratello di Sebastiano, Giovanni e la sua fidanzata Rita a cui si sono aggiunti ieri i nomi di Paola e Daniela Bastianutti, 23 e 25 anni, sorelle, pugliesi di Casarano. Paola si era appena laureata in giurisprudenza, e il viaggio nella magia di Sharm doveva celebrare l'evento. Erano arrivate in Egitto giovedì. Negli ospedali, da qui al Cairo, di Paola e Daniela nessuno sa nulla. All’hotel Sheraton dove erano alloggiate non ci sono. E da venerdì notte i loro telefonini sono muti. Anche la speranza di ritrovare vivi i congiunti di Sebastiano Conti sono al lumicino. Certi amici napoletani li hanno visti al bazar una mezz’ora prima della catastrofe. «Compravano collanine. Il giorno prima eravamo stati insieme in gita al parco marino di Ras Mohammed. E fra qualche giorno saremmo andati al Cairo», raccontano. E a dare una mano al riconoscimento è arrivata anche una pattuglia della nostra polizia Scientifica.
Nella rete gettata dalla polizia egiziana (che cerca 9 pakistani entrati nel Paese il 5 luglio scorso con passaporti falsi) sono rimaste impigliate una settantina di persone. Ieri sera è stato reso noto che si dispone dell’identikit di uno degli attentatori, ricostruito in base alle testimonianze della gente. Ci sono poi 12 beduini pescati nel nord del Sinai. Gente che a suo tempo avrebbe protetto la latitanza di certi personaggi implicati nell'attentato di Taba. Altro non c'è, se non una nuova rivendicazione delle «Brigate martiri del Sinai» che volevano colpire britannici, olandesi e italiani per via delle loro truppe in Irak.
Dietro il sipario telonato del Ghazala Gardens, sbirciando tra le connessure delle grandi federe strapazzate dal vento bollente che cala da nord, si capisce una cosa: che lì sotto, coperti da enormi lastroni di calcestruzzo, ci potrebbero essere ancora dei corpi. Il fetore che ne esala, spinto dal vento, investe la lunga teoria di ristorantini adiacenti, dove inutilmente si avvitano carcasse di polli allo spiedo che attendono clienti che non ci sono. All'intorno, tra il Ghazala e il Movenpick, sul viale del passeggio di Naama Bay, è il deserto. Vuoto anche il «Back in the Ussr», pittoresco ristorante per turisti russi charterizzati a vagonate che inalbera le facce di Marx, Engels e Lenin, con corredo di guglia del Cremlino sormontata da stella rossa regolamentare. Chi non se ne è già andato (a parte i russi, che con i ceceni ci han fatto il callo, han già speso i denari del viaggio e ieri infatti se ne son visti 1500 di nuovi) sta facendo le valigie. E chi pensa di restare, aggrappandosi alla statistica, è di due cuori. O non è vero che a Londra, una settimana dopo, ci hanno riprovato? Nel dubbio, i più se ne stanno rintanati negli alberghi. Un tuffo in piscina, una bracciata nelle splendide acque azzurre scarruffate dalle raffiche che si ingolfano fra gli ombrelloni di paglia, e poi in camera, a guardare la tele o a leggere un libro. Che vacanze son queste?
Per fortuna che c'è Yehia, che sta facendo il giro dei negozi e dei ristoranti per rincuorare amici e conoscenti che vedono la stagione andare in fumo. Adesso è fermo davanti al banco che vende «zaffirano», «erba per stumaco», «loqrizza», «menta del deserto» e karkadè. L'uomo ha 7 figli e altre due o tre famiglie di parenti da mantenere. E non sa dove sbattere la testa. Yehia Kotb, 53 anni, guida turistica che nei mesi più freschi si muove tra Assuan, Luxor e il Cairo si è fatto la villa a Sharm.
Nella città vecchia, davanti al centro commerciale «Tiran» sventrato dall'esplosione e alle botteghe che vendono faraoni in onice e Cleopatre in alabastro ci sono ancora le carcasse di una quindicina di auto scassate e arrostite dall'esplosione. Il cratere aperto dall'auto, largo un paio di metri, è nel bel mezzo dello slargo. «Ma il kamikaze non voleva farsi esplodere lì. Trecento metri più avanti - racconta Mohsen Hussain, 30 anni, guida turistica - c'era uno spettacolo di suoni e luci. «Mille e una Notte», si chiama. C'erano almeno duemila turisti. Ma anche un check point. Un poliziotto ha fatto cenno al kamikaze di fermarsi. Quello si è spaventato, è sceso dall'auto ed è scappato. Cinque secondi dopo, la macchina è saltata». Una macchina con targa israeliana, giura Mohsen.

Buona, quella targa, per far mormorare al popolino il solito refrain: «È stato il Mossad», il servizio segreto israeliano.

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