L’obiettivo di Roma: export raddoppiato entro il 2010

«Si pregano coloro che accedono a queste informazioni di considerare che in Libia non esiste un servizio postale (solo le strade principali hanno un nome e, comunque, non esistono numeri civici), per cui sulla lista allegata solo raramente viene indicato un indirizzo. Le linee telefoniche spesso sono intasate e i numeri di telefono in alcune zone vengono cambiati senza preavviso (lo stesso dicasi per i fax). Il servizio e-mail viene spesso interrotto dalle autorità libiche per “manutenzioni”». È questa la premessa ufficiale a un documento dell’Ice, l’Istituto italiano del commercio estero, a un elenco delle imprese italiane attualmente presenti in territorio libico; nulla di riservato né di polemico, ma semplici constatazioni di uno stato di fatto.
La premessa rende bene l’idea di che cos’è la Libia: un Paese che ha bisogno di infrastrutture, di tecnologie, di consulenze tecniche e organizzative. Eppure, caso singolare, questo Paese deficitario di servizi è un Paese molto ricco, interessato agli apporti e aperto agli investimenti stranieri. Delle 101 aziende italiane dell’elenco ufficiale fornito dall’Ice (aggiornato al maggio 2009), quasi una trentina - la maggioranza - sono società del settore delle costruzioni, grandi opere, edilizia e affini. Numerosi sono i gruppi di impiantisti industriali, come pure quelli legati all’energia, al petrolio, al gas, dall’estrazione alla trasformazione. Presenze storiche sono quelle dell’Eni, qui dal 1959 - i cui «campi», in mezzo al deserto, sono indicati con la segnaletica stradale delle città - e Impregilo, la società di grandi opere qui ormai da trent’anni, oggi impegnata nella progettazione di tre nuovi centri universitari che sorgeranno nelle città di Misuratah, Tarhunah e Zliten, dotati di biblioteche, centri multimediali, centri congressi, ristoranti, centri sportivi: una commessa da 400 milioni di euro.
Ma le prospettive per le imprese edili sono sconfinate: strade, alberghi, stadi. La Libia è un Paese che sta vivendo il fermento dello sviluppo. Si pensa a una grande autostrada Est-Ovest, ovvero Tripoli-Bengasi, si accarezza l’idea di dotare Tripoli, la capitale, di una metropolitana, per la quale è già stata avviata una gara internazionale a cui partecipa - e stupirebbe che non fosse così - anche Impregilo. Consolidata anche la presenza di Fiat Iveco, che in Libia ha uno stabilimento (in joint-venture con una società statale), specializzato in minibus, camion e veicoli commerciali Daily, con una produzione che viene esportata anche in altri Paesi africani.
La Libia da anni investe in imprese straniere, e italiane in particolare; ma gli investimenti interni ed esteri vanno in parallelo, al punto che un eventuale ingresso in Telecom Italia, di cui si è ripetutamente parlato (con una quota ipotizzata nel 10%) viene visto come una partnership strategica in un’ottica molto più ampia, poiché la Libia vorrebbe farne il suo braccio operativo, con la giusta competenza per assisterla negli investimenti in tecnologia.
È riemerso ieri, nell’incontro tra il colonnello Gheddafi e gli imprenditori di Confindustria, il progetto di riservare agli investimenti italiani un trattamento speciale dal punto di vista delle tasse, dei servizi, dell’esportabilità dei profitti; si tratterà di quelle quattro «zone franche» individuate nel corso dei recenti colloqui a Tripoli con il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola: saranno a Zawia e a Sidi el Saiah (presso la capitale), a Sidi Califa (presso Bengasi) e a Islanta (nel Gebel verde). Il vice ministro al Commercio estero, Adolfo Urso, stima che l’export italiano entro il 2010 potrà raddoppiare rispetto agli 1,9 miliardi del 2008, già in aumento del 21% sul 2007. Come settori di interesse per il made in Italy segnala le telecomunicazioni, gli aeroporti, il settore navale e il turismo.

Qui l’offerta libica è ricchissima e sorprendente, ma è ancora scarsa l’apertura a flussi di massa: da circa un anno ai turisti è richiesto un visto tradotto anche in arabo che va richiesto almeno un mese prima. Fattore questo fortemente disincentivante, insieme al livello modesto delle strutture ricettive e al divieto di bere alcolici. Eppure si tratta di uno dei Paesi più belli del Mediterraneo.

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