L’ombra di Walter irrita Massimo

Chi conosce l'antico linguaggio comunista, langue de bois ovvero lingua di «legno» per eccellenza, si è sorpreso per l’uso del termine «complotto neocentrista» da parte di Massimo D’Alema in un’intervista alla Stampa. Di «complotto neocentrista» parlavano, ancora più degli alti dirigenti, quelli della «vigilanza» del Pci, la poco appariscente commissione del partito che doveva per così dire contrastare i colpi di Stato.
Perché lo snobistico ministro degli Esteri, dimettendo gli atteggiamenti da commentatore della Cnn, usa parole così platealmente archeologiche? Certo esprime più un’irritazione per avvenimenti minori che vera preoccupazione. Comunque c’è qualcosa in circolazione che merita la sua attenzione. Se si fa un rapido giro sulle voci circolanti, tutte le novità riguardano il movimentismo di Walter Veltroni: largamente testimoniato dalle interviste di ieri di due suoi pretoriani, Gianni Borgna e Goffredo Bettini. «Lavora 12 ore al giorno». Prepara «lezioni che gli sono state chieste» e le replica per «non buttare via il lavoro di settimane», dice Bettini. «Quando Veltroni fa le cose non le fa per un fine», dice Borgna sull'Unità in un articolo in cui si scrive che la politica è tornata in mano agli apparati e va rinnovata. Borgna e Bettini naturalmente indicano Veltroni come candidato ideale per il domani. Ma non c’è urgenza. Proprio il coro dei veltroniani, la loro aria da «galline che hanno fatto l’uovo» accentua i sospetti.
La sostanza del vociare, che infastidisce se non allarma D’Alema, è che vi sarebbe stata una convergenza tra il cosiddetto piccolo establishment (il giro montezemoliano che ha il suo cervello in Paolo Mieli) e quello debenedettiano per accelerare la crisi dell’esausto governo Prodi e sostituirlo a breve con Veltroni. Anche Lorenzo Cesa, segretario dei centristi casiniani, che dice: «Se viene Veltroni, Berlusconi non appare in grado di batterlo» sarebbe uno dei testimoni, avvertito dell’aria che tira, pronto a sfruttarla magari per gestire gli equilibri interni dell’Udc e comunque per restare sull’onda degli avvenimenti.
È evidente il contesto economico-finanziario delle «voci»: il côté montezemoliano è preoccupato per l’espansione della potenza bazoliana (l’uscita di un saggio pieno di sberleffi antimielisti da parte del «vicedirettore del Corriere», il bazoliano Massimo Mucchetti, ha messo in chiaro i rapporti di forza in via Solferino). Anche Veltroni dopo che la Bnl è passata a Paribas, riflette su una Capitalia che potrebbe presto indebolirsi. Carlo De Benedetti non si fida né di Romano Prodi né di Giovanni Bazoli con cui peraltro ha costanti frequentazioni. Bloccare un Prodi che sta andando in pezzi può diventare quindi un’urgenza non solo politica ma anche per gli equilibri del potere economico.
Ma sta in piedi un siffatto progetto? Non c’è base parlamentare che lo possa sostenere: i piani annunciati di larghi spostamenti di truppe di Udc e persino di Forza Italia appaiono fantasiosi. Manca, poi - dicono gli intenditori - uno con la voglia di lavorare tra i complottatori. Le operazioni del passato, si pensi al 1994 o al 1998, avevano sempre al centro persone con grandi capacità nell’organizzazione di trame: da Massimo D'Alema a Franco Marini. Gente di questo tipo sinora non se ne vede in attività.

Per questo motivo D'Alema sarebbe più scocciato che preoccupato nonostante le sue parole roboanti. Resta il fatto che in molti salotti della politica non si parla di altro. Comunque anche queste voci segnalano l’incalzante crisi del governo Prodi.

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