da Milano
Preoccupata dai minori incassi provocati dallo sgonfiarsi dei prezzi del petrolio, lOpec prova a far la faccia feroce, tagliando a sorpresa la produzione di 520mila barili al giorno e riportando la quota complessiva a 28,8 milioni. Ma la mossa, oltre a provocare lirritata reazione della Casa Bianca, non sembra per il momento aver centrato lobiettivo: a Londra, il Brent è sceso ieri ancora sotto i 100 dollari il barile, mentre a Wall Street i future hanno galleggiato per lintera seduta attorno ai 102 dollari.
La decisione di ridurre loutput è stata presa a Vienna attorno alle tre del mattino di mercoledì (la riunione ha preso le mosse in ritardo per rispettare gli obblighi del Ramadam), e rappresenta lennesimo esempio della strategia di comunicazione un po pasticciata dei signori del petrolio. A mezzanotte, infatti, un sicuro Chakib Khelil, numero uno del Cartello, aveva intrattenuto i cronisti legittimando le ipotesi di un mantenimento dello status quo. Nelle tre ore successive, lo scenario si è completamente ribaltato. Lo stesso Khelil ha in seguito motivato la stretta sottolineando la volontà da parte dellorganizzazione, che controlla il 40% della produzione mondiale di greggio, di «evitare un brusco ribasso dei prezzi» attraverso il rispetto rigoroso delle quote fissate nel settembre 2007 e modificate per includere i nuovi membri (Angola ed Ecuador) ed escludere Indonesia e Irak.
In realtà, il crollo delle quotazioni è già avvenuto se ci si basa sul picco di oltre 147 dollari raggiunto a metà del luglio scorso, considerato proprio dallOpec la prova provata degli eccessi speculativi e non di una carenza di offerta. Questa lettura sembra giustificare una scelta inattesa come quella di ieri: i Paesi produttori restano convinti che sul mercato vi sia un surplus di greggio, da circoscrivere anche in ragione del rallentamento in atto delleconomia globale e, soprattutto, dei venti recessivi che soffiano negli Stati Uniti e in Europa che rischiano di avere ulteriori ripercussioni sul livello dei prezzi. Si tratta di unanalisi condivisibile, suffragata dalla revisione al ribasso delle stime Aie (Agenzia internazionale per lenergia), secondo cui la domanda dei Paesi Ocse si attesterà questanno a 86,8 milioni di barili al giorno e a 87,6 milioni lanno prossimo.
Semmai, è il timing scelto per riordinare i livelli produttivi a lasciare perplessi, considerato anche il fatto che nei primi sei mesi del 2008 il Cartello ha già guadagnato quanto incassato nellintero 2007 e che lArabia Saudita, il principale produttore mondiale, considera ottimale un prezzo oscillante tra gli 80 e i 90 dollari il barile. Ora sembra invece aver prevalso la linea dura di Paesi come Venezuela, Iran e Irak, da tempo orientati a una minore offerta di petrolio, e non esclusivamente per ragioni economiche. La richiesta Usa di mantenere i mercati ben riforniti non è stata accolta, e anzi il segretario del Cartello, Abdullah al-Badri, ha replicato allinvito con insolita durezza: «Gli Usa possono dare ordini alle loro compagnie, non all'Opec». «Non siamo certo daccordo con la misura di tagliare la produzione», ha poi fatto sapere la Casa Bianca.
Con frizioni così evidenti, resta da verificare limpatto della maggior richiesta di cooperazione avanzata dalla Russia allOpec. Al-Badri è convinto che liniziativa non avrà conseguenze sui Paesi importatori e che, comunque, un simile accordo è stato già raggiunto «con l'Ue e la Cina».
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