L’Opec taglia, ma il petrolio non risale

La Russia più vicina ai Paesi produttori. L’Aie rivede al ribasso le stime sulla domanda 2008-2009

da Milano

Preoccupata dai minori incassi provocati dallo sgonfiarsi dei prezzi del petrolio, l’Opec prova a far la faccia feroce, tagliando a sorpresa la produzione di 520mila barili al giorno e riportando la quota complessiva a 28,8 milioni. Ma la mossa, oltre a provocare l’irritata reazione della Casa Bianca, non sembra per il momento aver centrato l’obiettivo: a Londra, il Brent è sceso ieri ancora sotto i 100 dollari il barile, mentre a Wall Street i future hanno galleggiato per l’intera seduta attorno ai 102 dollari.
La decisione di ridurre l’output è stata presa a Vienna attorno alle tre del mattino di mercoledì (la riunione ha preso le mosse in ritardo per rispettare gli obblighi del Ramadam), e rappresenta l’ennesimo esempio della strategia di comunicazione un po’ pasticciata dei signori del petrolio. A mezzanotte, infatti, un sicuro Chakib Khelil, numero uno del Cartello, aveva intrattenuto i cronisti legittimando le ipotesi di un mantenimento dello status quo. Nelle tre ore successive, lo scenario si è completamente ribaltato. Lo stesso Khelil ha in seguito motivato la stretta sottolineando la volontà da parte dell’organizzazione, che controlla il 40% della produzione mondiale di greggio, di «evitare un brusco ribasso dei prezzi» attraverso il rispetto rigoroso delle quote fissate nel settembre 2007 e modificate per includere i nuovi membri (Angola ed Ecuador) ed escludere Indonesia e Irak.
In realtà, il crollo delle quotazioni è già avvenuto se ci si basa sul picco di oltre 147 dollari raggiunto a metà del luglio scorso, considerato proprio dall’Opec la prova provata degli eccessi speculativi e non di una carenza di offerta. Questa lettura sembra giustificare una scelta inattesa come quella di ieri: i Paesi produttori restano convinti che sul mercato vi sia un surplus di greggio, da circoscrivere anche in ragione del rallentamento in atto dell’economia globale e, soprattutto, dei venti recessivi che soffiano negli Stati Uniti e in Europa che rischiano di avere ulteriori ripercussioni sul livello dei prezzi. Si tratta di un’analisi condivisibile, suffragata dalla revisione al ribasso delle stime Aie (Agenzia internazionale per l’energia), secondo cui la domanda dei Paesi Ocse si attesterà quest’anno a 86,8 milioni di barili al giorno e a 87,6 milioni l’anno prossimo.
Semmai, è il timing scelto per riordinare i livelli produttivi a lasciare perplessi, considerato anche il fatto che nei primi sei mesi del 2008 il Cartello ha già guadagnato quanto incassato nell’intero 2007 e che l’Arabia Saudita, il principale produttore mondiale, considera ottimale un prezzo oscillante tra gli 80 e i 90 dollari il barile. Ora sembra invece aver prevalso la linea dura di Paesi come Venezuela, Iran e Irak, da tempo orientati a una minore offerta di petrolio, e non esclusivamente per ragioni economiche. La richiesta Usa di mantenere i mercati ben riforniti non è stata accolta, e anzi il segretario del Cartello, Abdullah al-Badri, ha replicato all’invito con insolita durezza: «Gli Usa possono dare ordini alle loro compagnie, non all'Opec». «Non siamo certo d’accordo con la misura di tagliare la produzione», ha poi fatto sapere la Casa Bianca.
Con frizioni così evidenti, resta da verificare l’impatto della maggior richiesta di cooperazione avanzata dalla Russia all’Opec. Al-Badri è convinto che l’iniziativa non avrà conseguenze sui Paesi importatori e che, comunque, un simile accordo è stato già raggiunto «con l'Ue e la Cina».

L'eventuale interesse degli Stati Uniti sarebbe accolto alla stessa maniera, ha concluso. Annunciando di volere un confronto "regolare" con l'Opec, la Russia ha invitato i membri Opec a Mosca per un incontro che si dovrebbe tenere in ottobre.

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